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Le acque Sar libiche non sono acque territoriali

Mar 13, 2023

AGI – “Le operazioni di Ricerca e soccorso in acque libiche sono autorizzate solo per le imbarcazioni libiche”, ha dichiarato il portavoce della Commissione europea, Peter Stano, rispondendo a una domanda sul ruolo dell’operazione Irini nel Mediterraneo a proposito dell’ultimo naufragio di migranti. La realtà, però, è ben diversa da quella affermata da Stano, smentito dalla successione di norme del diritto internazionale che individuano con precisione le acque Sar (Search and rescue) e le competenze relative a un’operazione di soccorso e le distingue dalle acque territoriali di uno Stato.

“Le zone Sar – spiega il giurista Fulvio Vassallo Paleologo sulla rivista dell’Associazione diritti e frontiere (Adif) – non sono da confondere con le acque territoriali, ma sono zone di responsabilità per le attività di ricerca e salvataggio, da condividere quando i mezzi non bastano con i paesi titolari delle zone Sar limitrofe. Non possono diventare zone di interdizione dei soccorsi che possono salvare vite. Quando un paese responsabile non interviene, devono intervenire gli altri Stati costieri, con la massima rapidità, se ricorre un caso di distress”.

E’ sufficiente, inoltre, dare un’occhiata al sito della Guardia costiera italiana per rendersi conto che il portavoce dell’Ue, come altri, è incappato in una sostanziale ma diffusa ignoranza delle basi del diritto del mare. La norma che regola il soccorso in mare, spiega la Guardia Costiera, è la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979. “Lo Stato responsabile di un’area Sar – prosegue l’autorità italiana nelle sue faq – in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center (Rcc), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità Sar, ma anche con unità militari e/o civili, quali ad esempio le unità mercantili presenti in zona, in adempimento agli obblighi giuridici assunti con la ratifica della convenzione internazionale”.

“Nel caso in cui un’Autorità marittima riceva informazioni di un’emergenza in corso in un’area Sar di competenza di un altro Stato, informa immediatamente il Rescue Coordination Center (Rcc) territorialmente competente ed estende la notizia dell’emergenza a tutte le unità in transito in quell’area Sar. Una volta che lo Stato competente assume il coordinamento, le altre Autorità Nazionali marittime possono intervenire in supporto all’attività di soccorso, con l’impiego di mezzi o la diffusione o il rilancio di comunicazioni, se espressamente richiesto dall’Autorità coordinatrice”.

In carico allo Stato che ha la competenza sulla rispettiva Sar vi sono obblighi, più che diritti: “Qualora lo Stato competente per quella area Sar non assuma il coordinamento delle operazioni di soccorso – spiega ancora la Guardia Costiera – tali operazioni vengono coordinate dall’Autorità nazionale Sar che, per prima, ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile”. E’ su questo punto che, nel caso dell’ultimo naufragio in acque internazionali cui sono annegate 30 persone, le ong chiamano in causa l’Italia. “Tutti sanno – sottolinea Vassallo Paleologo – che le autorità maltesi non garantiscono soccorsi all’interno della loro zona Sar, e tutti dovrebbero sapere quali sono i limiti operativi della sedicente Guardia costiera libica, soprattutto se non è coordinata da assetti Frontex o italiani”. E salta agli occhi, sottolinea il giurista, una “contraddizione evidente: si afferma una giurisdizione in acque internazionali a carattere ‘universale’, dunque anche nella zona Sar libica o maltese, per dare la caccia agli scafisti, scambiati per trafficanti, ma nessuna giurisdizione in quelle stesse acque per salvare la vita a chi chiama soccorso. Se non faranno giustizia i giudici italiani – conclude – si ricorrerà alle corti internazionali”. 

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