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Lavoro, la Cgil: “Ci sono più occupati, ma peggiora la qualità”

Ott 6, 2019

MILANO – Il trend di lungo periodo e quello emerso dagli ultimi dati sul mercato del lavoro sembrano sovrapporsi: l’occupazione è sì in positivo, ma quando si “pesano” le teste che dichiarano di esser occupate con la qualità del loro lavoro (in termini di natura dei contratti e intensità) il quadro è meno ottimistico.

La Cgil, in uno studio realizzato dalla fondazione Di Vittorio che confronta i dati del secondo trimestre del 2019 con quello del 2018, nota come sia cresciuto il numero degli occupati, ma peggiorata la qualità del lavoro: diminuiscono le ore lavorate e crescono il part time e i contratti a tempo determinato ‘involontario’. In pratica, a fronte di un recupero occupazione si registra un peggioramento della qualità del lavoro. Dalla fotografia scattata al mondo del lavoro emerge in particolare che “l’utilizzo di part-time e tempo determinato involontario è plausibilmente utilizzato da una parte di imprese ai fini di competitività di costo e fa crescere la quota di lavoro povero nell’occupazione”.

Nel secondo trimestre 2019 il numero di occupati ha superato il livello dell’aprile-giugno 2008 di 283mila unità. È cambiata tuttavia in modo sostanziale la composizione dell’occupazione. I dipendenti full-time a tempo indeterminato sono calati nello stesso periodo di -544mila unità, così come calano gli indipendenti (-581mila nel Tempo pieno e -51mila nel Part-time). Crescono invece fra i lavoratori dipendenti sia i Part-time (+732mila a tempo indeterminato e +385mila a tempo determinato) che i tempi determinati (+726mila in totale, di cui circa il 50% ricompresi nel Part-time).

“Se si prendono in esame le tipologie di lavoro – afferma la fondazione della Cgil – la qualità dell’occupazione italiana, nonostante la variazione positiva dello stock di occupati, peggiora sensibilmente, anche per le caratteristiche di “involontarietà” che la contraddistinguono”. La conferma arriva dalle ore lavorate che nello stesso periodo risultano ancora inferiore al secondo trimestre del 2018: il calo è del 5,1% e risulta ancora maggiore tra gli indipendenti (-14,1%) che risentono di una contrazione anche nel numero assoluto di occupati; ciononostante, la quota di occupati indipendenti è in Italia pari al 23% contro meno del 15% nell’Eurozona.

La ricerca si sofferma in particolare sui temi del Part-time involontario e del tempo determinato. La percentuale del part-time in Italia è leggermente inferiore alla media dell’Eurozona. È però nettamente più alta nel nostro Paese la percentuale di part-time che è involontario (64,2% contro 26,5% nel 2018) ed è cresciuta di 24 punti dal 2008. Nel 2019 il part-time involontario ha proseguito la sua crescita, arrivando nel 2° trimestre al 64,8%, pari a 2,9 milioni di occupati.

La media delle ore settimanali, simile a quella francese, è leggermente più alta rispetto all’eurozona (22 ore contro 19) ma, la retribuzione media oraria risente di una forte penalizzazione (-33,6% in Italia contro -17,5% nell’Eurozona) e quindi la retribuzione finale è inferiore. Per lo studio della Fondazione della Cgil la “minore retribuzione oraria con più ore lavorate e il maggior utilizzo nelle fasce centrali dell’occupazione sono una parte della spiegazione dell’alto tasso di part-time involontario in Italia”.

Lo stock di dipendenti a tempo determinato è cresciuto fino a oltrepassare nel 2018 quota 3 milioni, livello superato anche nel 2019. La percentuale sui dipendenti risulta nel 2° trimestre 2019 superiore alla media Eurozona (17,2% contro il 15,9%). In Italia, inoltre, il lavoro a termine è per l’80% involontario contro il 51% dell’Eurozona ed ha durata spesso molto breve. Per la Fondazione Di Vittorio, “l’impatto sul mercato del lavoro di un Pil stagnante da ben cinque trimestri e del mancato recupero dei livelli pre-crisi si è per adesso materializzato in termini di peggioramento delle tipologie di lavoro (crescita part-time e tempo determinato, flessione Indipendenti) e di calo di ore lavorate più che sul numero assoluto di occupati. Ma, perdurando la fase di stagnazione, non si può dare per scontata tale tenuta in futuro. Sono caratteristiche del nostro mercato del lavoro – conclude lo studio – che i soli dati complessivi riguardanti gli occupati ed i disoccupati non sono in grado di cogliere e che, è bene tenere in considerazione nei commenti sulla condizione dell’occupazione nel nostro Paese”.

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