Almeno stavolta la dietrologia è durata poco meno di due mesi. In altri casi ci sono voluti anni e processi infiniti per smontare le ricostruzioni più fantasiose.
Un carabiniere del Ros, bravi loro, lo scorso dicembre ha scovato un pizzino dentro la gamba di una sedia mentre cercava di piazzare microspie e telecamere dentro la casa di Rosalia Messina Denaro, la sorella del capomafia arrestata oggi a Castelvetrano. Sui parenti stavano addosso da anni, tanto che li hanno arrestati quasi tutti.
Nel biglietto c’era il diario clinico del latitante. Visite, operazioni, riferimenti chiari alla grave patologia di cui soffre Messina Denaro. Da lì sono state anticipate le sue successive mosse, fino alla visita nella clinica palermitana dove il padrino ha smesso di essere il latitante che è stato per 30 anni.
Un uomo in divisa da carabiniere ha fatto il suo lavoro, complicato come sempre e vincente. Un’attività investigativa chiara e senza dietrologia. Ora si comprende il perché delle parole del procuratore Maurizio de Lucia che, incontrando alcuni studenti palermitani, disse senza troppi giri di parole: “C’è gente che non fa indagini da dieci anni e viene a dirci come si fanno”. “Questo è un paese strano – aggiunse – un minuto dopo l’arresto già c’erano i murmurrii (le voci, ndr). Non c’è stato neanche il tempo di festeggiare quello che è un successo per lo stato che già erano iniziate le dietrologie”.
Ribadì il concetto nella pomposa formalità dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Basta con le speculazioni sull’arresto di Matteo Messina Denaro. L’indagine per la cattura del boss “è stata impeccabile” e si è “svolta con strumenti tecnici aggiornati e con criteri di legalità, totalmente trasparenti”. De Lucia paragonò le opinioni, ascoltate soprattutto in tv, seppure “rispettabili”, a quelle “di chi dice che la terra è piatta”.
Per settimane l’opinione pubblica si è dovuta sorbire la dietrologia alimentata da personaggi come Salvatore Baiardo, portavoce dei boss Graviano, o Gaspare Mutolo, vecchio pentito di mafia tornato alla ribalta come un comodo attrezzo di scena.
Una lettura ancora più sofisticata l’ha fornita Roberto Scarpinato, ex magistrato antimafia e oggi senatore del Movimento 5 Stelle. L’arresto di Messina Denaro inquadrato “come uno scambio di prigionieri”. Il capomafia detenuto “in cambio” della futura scarcerazione di altri pezzi da novanta sepolti all’ergastolo.
Nel corso di interminabili processi, celebrati nelle aule di giustizia e nei salotti televisivi, come se fossero dei vasi comunicanti, si è stratificata una narrazione per cui da 30 anni in Italia c’è una trattativa perenne fra i mafiosi e pezzi delle istituzioni.
Nulla è che come sembra nonostante i boss siano stati tutti arrestati, e tutti siano rimasti al 41 bis, a volte fino all’ultimo e incosciente respiro. Qualcuno è riuscito a prendersi gioco, a turno, di magistrati e investigatori che credevano di mettere a segno importanti risultati. In realtà c’era chi stringeva l’ennesimo patto segreto.
Se ne faccia una ragione anche il carabiniere che ha deciso di mettere il naso, anzi gli occhi, nella gamba della sedia di casa Messina Denaro. Ha trovato il pizzino, lo ha consegnato ai suoi superiori, che hanno stilato una informativa, che è finita sul tavolo del procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha studiato le prossime mosse e organizzato il blitz dello scorso gennaio. Credevano di avere acciuffato il pericoloso latitante, in verità altri avevano deciso che dovesse andare così. Si arriverà al paradosso che qualcuno un giorno, dovrà chiedere scusa per avere arrestato Matteo Messina Denaro?