• 3 Gennaio 2025 14:02

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L’annus horribilis dell’automotive europeo e il Piano Stellantis per il 2025

Dic 31, 2024

AGI – Il 2024 è stato una “tempesta perfetta” per il settore automotive in Italia e in Europa. Un settore che, considerando l’intera filiera, vale l’8% del Pil Ue e occupa 13 milioni di persone in Europa, pari al 7% del mercato del lavoro nel suo insieme. Solo il settore manifatturiero dell’auto ne impiega circa 6,6 milioni.

Chiusure di stabilimenti, licenziamenti, crollo delle vendite, tavoli di crisi sono stati i mantra in negativo di storici marchi che sembravano inossidabili, tra cui, sopra a tutti, il colosso tedesco Volkswagen che, dopo una lunga serie di negoziati con i sindacati, ha annunciato il taglio di oltre 35.000 posti di lavoro in Germania fino al 2030 e la riduzione della capacità tecnica delle sue fabbriche con l’obiettivo di risparmiare circa 1,5 miliardi di euro l’anno sul costo del lavoro.
La bufera ha colpito, come prevedibile, anche il gruppo globale che nel nostro Paese è legato a doppio filo alla famiglia Agnelli: Stellantis, il cui presidente è l’evocatissimo (nelle ultime settimane) John Elkann.

 

I NUMERI
Qualche cifra per far capire la dimensione della crisi. A novembre le immatricolazioni di auto nel complesso dei Paesi dell’Ue allargata all’Efta e al Regno Unito ammontavano a 1.055.319 unità, pari al 2% in meno su base annuale, stando ai dati di Anfia e Acea.

Nei primi undici mesi del 2024 i volumi immatricolati raggiungevano 11.876.655 unità, in rialzo di appena lo 0,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma quasi 2,7 milioni in meno rispetto ai 14.542.126 del 2019 (-18,3%), precedenti al Covid.

Tra i cinque major market, rileva l’Unrae, l’Italia è rimasta al quarto posto sia a novembre sia nei primi undici mesi dell’anno, e all’ultimo posto nel mercato delle auto ricaricabili (Ecv), con una quota di mercato pari all’8,4% complessivo (5,3% per le Bev e 3,1% per le Phev). A fare le spese della crisi è l’intera filiera dell’automotive. Una filiera che in Italia è costituita da oltre 5.000 imprese e occupa 272.000 lavoratori, tra diretti e indiretti, pari al 6,8% degli occupati nel settore manifatturiero, in base ai dati Uilm. Il settore rappresenta il 5,6% del Pil nazionale con un fatturato annuo di circa 100 miliardi di euro, pari all’11,5% del fatturato della manifattura in Italia.

Proprio per difendere un’industria che dà lavoro a tante persone, il 18 ottobre scorso le tute blu sono scese in piazza per chiedere garanzie sull’occupazione e il rilancio dell’industria dell’automobile in Italia, chiamando in causa direttamente Stellantis. Era dal 1994 che Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm non manifestavano assieme con uno sciopero unitario nel settore.

 

LE REGOLE UE
Le cause della crisi sono diverse. Una di queste è sicuramente la concorrenza proveniente dalla Cina. Ma le difficoltà dell’automotive stanno anche mettendo in discussione quelli che fino a ieri sembravano principi incrollabili della transizione green perseguita dall’Ue, a cominciare dalle regole sulla dismissione dei motori endotermici entro il 2035, eredità della precedente gestione Von der Leyen.

La “sostenibilità ambientale”, ripetono i leader politici in Italia e nel resto del continente, non può ignorare “la sostenibilità sociale ed economica”. A pesare sui produttori europei, infatti, è anche la virata verso le auto elettriche voluta dall’Ue: queste, almeno per ora, costano di più e, di conseguenza, vengono vendute di meno.

 

Le regole di Bruxelles prevedono multe superiori ai 15 miliardi di euro per le case produttrici a partire dal 2025 se non rispettano determinati parametri. In particolare, dal prossimo anno i costruttori dovranno affrontare nuovi limiti per le emissioni di flotta: il requisito minimo per le auto nuove scenderà dai 116 g/km di CO2 del 2024 a 94 grammi circa.
In questo modo le case saranno costrette ad aumentare in modo significativo il peso delle elettriche per evitare il pagamento delle relative sanzioni (95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso, moltiplicato per il numero di vetture commercializzate).
Questo circolo vizioso sta inducendo le case automobilistiche a produrre di meno e, quindi, a chiudere i siti e a licenziare i lavoratori.

 

IL NON PAPER ITALIANO E L’AZIONE DEL GOVERNO
“Una follia”. Cosi’ l’ha definita il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che nel 2024 si è impegnato attivamente per provare a cambiare le regole a livello Ue, presentando al Consiglio competitività del 28 novembre un non paper sull’automotive, promosso con la Repubblica ceca, che è stato sottoscritto anche da Austria, Slovacchia, Bulgaria, Polonia, Malta e Romania e che ha ricevuto ampia convergenza anche da altri 15 Paesi, i quali “si sono espressi a favore delle proposte contenute nel documento, basate su principi chiave come la neutralità tecnologica, la necessità di risorse comuni per il settore e l’autonomia strategica nella catena del valore delle batterie elettriche”.

Uno dei punti chiave del documento strategico è l’anticipazione della revisione delle clausole per lo stop ai motori endotermici al 2025. A tenere banco negli ultimi mesi in Italia è stata anche la discussione sul Fondo automotive, per il quale era stato inizialmente previsto nella legge di bilancio un taglio di 4,6 miliardi nei prossimi anni e sul quale il governo ha fatto una parziale marcia indietro.

Nella manovra di quest’anno il Fondo viene infatti rifinanziato con ulteriori 200 milioni sul 2026 e 200 milioni sul 2027 (arrivando quindi a 400 milioni per ciascun anno), oltre ai 200 milioni del 2025, che rimangono invariati. A questi bisogna aggiungere i 500 milioni di risorse del Pnrr per i contratti di sviluppo dei settori in transizione, piu’ 100 milioni di residui del 2024.

Complessivamente si arriva a 1,6 miliardi per il triennio dal 2025 al 2027. Nel 2025, come spiegato da Urso, verranno immediatamente impiegati 1,1 miliardi per contratti di sviluppo, mini contratti di sviluppo e accordi per l’innovazione.
Gli altri 500 milioni di euro rimangono svincolati, in attesa di capire come va il mercato, se serve un rifinanziamento e se bisogna rivolgere le risorse altrove.

 

STELLANTIS
Nell’occhio del ciclone, in Italia ma non solo, il gruppo automobilistico globale che riunisce, oltre a Fiat, Jeep, Lancia, Maserati, Opel e Alfa Romeo, anche Abarth, Chrysler, Citroen, Dodge, Ds Automobiles, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.
Nel nostro Paese, attualmente, Stellantis è l’unico costruttore nazionale, e dunque le sorti del settore sono legate a doppio filo a quelle del gruppo la cui presidenza è affidata a John Elkann.

Tale è stata la bufera da indurre l’ad del gruppo Carlos Tavares ad anticipare l’uscita di scena e a presentare le dimissioni lo scorso 1 dicembre.
Al Mimit è stato istituito un tavolo ad hoc su Stellantis e l’automotive che ha visto il suo culmine nella riunione del 17 dicembre, quando Jean Philippe Imparato, responsabile europeo di Stellantis, ha presentato il Piano di rilancio per l’Italia al ministro Urso, ai sindacati, alle associazioni di categoria e ai rappresentanti delle Regioni in cui sono presenti gli stabilimenti. Si tratta di un piano di produzione specifico per ogni sito che arriverà al 2032-33 e ha l’obiettivo di coprire l’80% del mercato europeo. Nel solo 2025 Stellantis ha in programma 2 miliardi di investimenti in Italia e un incremento di 6 miliardi di acquisti di fornitori che operano nel Paese.

“Il piano non prevede aiuti pubblici: tutti gli investimenti sono finanziati con risorse proprie”, ci ha tenuto a precisare Imparato, ribadendo inoltre che il gruppo non ha nessuna intenzione di chiudere i siti produttivi in Italia.
Nonostante questo impegno, però, “la produzione nel 2025 sarà più o meno come quella del 2024, e quindi sarà un anno duro, tosto, un anno di Cig”, come ammesso dallo stesso top manager di Stellantis durante il tavolo al Mimit. La vera ripartenza sarà dunque nel 2026, “con un incremento della produzione del 50%”.

 

 

 

 

Uno dei fattori di questo rilancio sarà l’avvio dell’ibrido nello stabilimento di Mirafiori, che rimarrà, come ha precisato Imparato, “il cuore nevralgico dell’azienda”. Questa scelta produttiva porterà a “triplicare i volumi”: “Mi aspetto 100.000 macchine in piu’ l’anno con la Fiat ibrida a Mirafiori”, ha detto il responsabile Europa Stellantis.

 

Tra gli altri punti del piano strategico evidenziati da Imparato, la realizzazione di 3 nuovi modelli, con una vettura top di gamma, a Cassino a partire dal 2025, grazie alla nuova piattaforma Stla Large. Nel sito laziale vedranno la luce la nuova Stelvio, poi la nuova Giulia. Ad Atessa, invece, partirà dal 2027 una nuova versione di Large Van “appositamente studiata per la massima competitività nei confronti della concorrenza asiatica”.

 

Ancora, resta aperta la possibilità di realizzare la Giga Factory a Termoli tramite la joint venture Acc, che Stellantis sosterrà con un finanziamento come principale contributore”. A Pomigliano, intanto, “l’attuale Pandina arriverà al 2030”, ha spiegato il top manager, aggiungendo che ce ne sarà anche un’altra di nuova generazione. Infine, Modena, sede della Maserati, diventerà il polo dell’alta gamma, coinvolgendo in tale missione “l’ecosistema produttivo della Motor Valley”.

 

Dopo mesi in cui tutti – politici, ministri, sindacati, associazioni di categoria – hanno chiesto piu’ volte a John Elkann di andare a riferire in Parlamento per chiarire le intenzioni del gruppo per il futuro, il presidente di Stellantis alla fine ha detto di si’.
Con l’arrivederci all’ad Tavares e alla sua strategia, lontana sia dalla proprietà sia dalla linea ‘pragmaticà intrapresa dal governo in Europa, e il giorno dopo la presentazione del piano strategico al Mimit, Elkann ha preso l’impegno a recarsi in audizione alla Camera a gennaio.

Nel frattempo, alcuni sindacati, tra cui la Fiom, hanno giudicato “transitorio” il piano Stellantis e hanno assicurato che continueranno la mobilitazione. Il 2025 promette di riservare delle sorprese. 

 

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