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L’accusa di “scientismo”, irrazionalità spacciata per dibattito

Apr 4, 2023

Ogni volta che si tenta di riportare semplicemente dei solidi fatti in discussioni ove prevalgono invece posizioni infondate, ma molto radicate e molto legate ad interessi ben precisi, si sente in Italia volare l’accusa di “scientismo” rivolta contro chi si fa carico di ricordare quel poco o molto che la ricerca scientifica può contribuire a diversi ambiti in cui sia necessario prendere qualche decisione. Questa accusa, in tale contesto, è di solito l’ultima difesa di irrazionalisti che hanno irrimediabilmente torto, quali coloro che tentano di difendere il vitalismo della biodinamica e le presunte virtù antroposofiche, oppure chi vorrebbe vedere riconosciute le antiche, ma false, discipline terapeutiche orientali al pari della scienza medica moderna, o anche – giusto per fare solo l’ultimo esempio – chi pretende di proibire la carne coltivata in nome di stupidi pregiudizi e di tradizioni violate, da mantenere ad ogni costo (e non sulla base di una sempre possibile reale analisi dei costi e dei benefici). Di costoro, ovviamente, c’è poco da dire, perché il loro attacco è vecchio quanto l’invenzione della scienza stessa; è molto più interessante, tuttavia, notare che, fra coloro che pretendono di difendere i risultati della ricerca scientifica, inclusi certi accademici nostrani, davvero si riscontrino evidenti i difetti dello scientismo. Lo scientismo, leggiamo nella Treccani, è oggi inteso come quel “particolare atteggiamento intellettuale di chi ritiene unico sapere valido quello delle scienze fisiche e sperimentali, e svaluta quindi ogni altra forma di sapere che non accetti i metodi propri di queste scienze”.

 

Ora, supponiamo di considerare il sapere di un compositore, inerente alla sua propria materia; è evidente che, sebbene una limitata analisi scientifica di quanto egli sa sia sempre possibile, ciò che è utile al maestro non è il frutto di questa, che al massimo può indirettamente interessarlo, quanto una consolidata conoscenza della propria arte, unitamente direi a delle qualità istintive e probabilmente genetiche che gli consentono di applicare questa conoscenza consolidata in modi più o meno gradevoli per il proprio pubblico. Guardiamo all’arte di uno scrittore, oppure anche al sapere tradizionale di un cantastorie, alla conoscenza profonda del diritto di un avvocato, perfino a quella del mondo sociale di chi si occupa di pubbliche relazioni: fosse anche possibile in tutti i casi descritti e in altri ancora che potrebbero venire in mente utilizzare il metodo scientifico per esaminare tali tipi di conoscenze, è evidente che in pochissimi, forse in nessun caso con quel metodo si riuscirebbe a cavare qualcosa di utile nei rispettivi campi di applicazione. Eppure si tratta di saperi e conoscenze senza dubbio utili e perfino indispensabili, se per esempio guardiamo alla conoscenza dei sistemi normativi e al suo valore per tenere in piedi società complesse come le nostre; dunque, in nessun caso ed in nessun senso, è possibile stabilire una scala di valori che releghi tali conoscenze ad un gradino inferiore, rispetto alla conoscenza acquisibile mediante la formalizzazione logico-matematica dell’esperienza e alla generalizzazione dei fatti naturali che le scienze consentono.

 

Ora, è certo che il metodo e le discipline scientifiche possono invece contribuire ad ampliare ed approfondire ogni altro sapere, in una collaborazione virtuosa che è spesso quanto di meglio si possa immaginare dal punto di vista del mirabile risultato intellettuale che si ottiene: la ricerca sugli antichi Dna, per esempio, può dirci molto della preistoria, così come l’analisi spettrofotometrica ci può dire tanto su un’opera d’arte, oppure la prova scientifica ci può ben aiutare in un tribunale o nel costruire un diritto più utile ed equo, e l’astronomia può sollecitare la metafisica e la filosofia come poche altre materie. Il senso estetico, la profondità di analisi e altre virtù delle conoscenze e dei campi non propriamente scientifici possono tutti guadagnarne in termini di profondità ed ampiezza, quando riescono ad incrociarsi con il dato scientifico e la meticolosa e solida ricostruzione di certi possibili fatti; viceversa, la bellezza della conoscenza scientifica, motore potentissimo che stimola la ricerca, può solo giovarsi della meravigliosa applicazione ai campi storici, estetici, sociali che riesce agli scienziati di incrociare.

 

La boriosa difesa di un singolo metodo e la pretesa di utilizzarlo per l’acquisizione di ogni possibile conoscenza non solo nei campi suoi propri, ma in qualunque sfera dell’azione e del pensiero umano, ha uno, ed un principale difetto che gli scienziati veri riconoscono bene nello scientismo di qualche sprovveduto: la gretta convinzione che non sia interessante, utile o bello ciò che non è sottoponibile, per principio o per mancanze attuali, al metodo scientifico. Non vi è nessun limite all’utilizzo del metodo scientifico in nessun campo del pensiero umano, se non quello della sua stessa inutilizzabilità ove questa condizione ricorra; ma credere che questo ultimo limite non esista, e ignorare quanto sia stupido privarsi di quello che la nostra mente può fare al di fuori della scienza, questo è il più grave limite che permette di identificare con sicurezza lo scientismo.

 

La scienza è e resta principalmente il prodotto dell’applicazione di un metodo, che, nonostante i limiti dovuti al fatto che chi lo applica è umano, almeno per ora e prima che sorga qualche intelligenza artificiale in questo senso capace, grazie al lavoro collettivo produce alcune delle più durature, solide e magnifiche architetture di pensiero che si sia mai riusciti a creare, dalle quali sgorga quasi esclusivamente il nostro benessere materiale; ma la scienza non ha bisogno del tifo irragionevole, ed è anzi essa stessa meglio tutelata da una moderata considerazione di sé stessa, soprattutto al cospetto di altre grandissime opere della nostra mente, quali l’arte, il pensiero giuridico o la filosofia. Con questa convinzione, è possibile rimandare al mittente le accuse di chi non ama la scienza e non la conosce, o ha interesse a contrastarne i risultati, accusando i ricercatori di un inesistente scientismo “costitutivo” per rifugiarsi in uno stupido irrazionalismo.

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