Qualunque sia l’essere vivente che si considera, da un virus che deve reagire all’ambiente intracellulare dell’ospite innescando la propria replicazione, fino ad un essere vivente complesso che scambia messaggi con i propri simili per ottimizzare il proprio adattamento alle condizioni ambientali, l’informazione ha un ruolo fondamentale nel determinare le probabilità di successo riproduttivo di un individuo e, considerando tutti gli individui di una popolazione, la fitness darwiniana media di quella popolazione. Questa informazione può essere codificata tramite biomolecole, cioè in particolare contenuta nel genoma di un individuo, determinando moduli comportamentali stereotipati in presenza delle condizioni giuste, o più spesso può essere la risultante di una qualche misura tramite i sensi delle variabili ambientali di interesse, in grado di innescare meccanismi molecolari che interagiscono con l’informazione genetica a determinare il comportamento finale di un individuo.
In molte specie, in aggiunta, una gran parte del corredo informativo utile alla sopravvivenza degli individui è conservato invece nelle strutture atte alla cognizione, sotto forma di memoria, invece che di sequenza di DNA e di corredo molecolare. In alcune specie sociali capaci di comunicazione e tradizione culturale, e in massimo grado nella nostra e nell’epoca presente, moltissima altra informazione utile alla sopravvivenza e capace di determinare per una sua frazione anche il successo riproduttivo è conservata su supporti diversi da quelli organici; possiamo anzi dire che per l’essere umano, almeno attualmente, il grosso dell’informazione utile alla sopravvivenza fa parte del fenotipo esteso, ed è sia contenuta che in parte processata esternamente al corpo, sotto l’influenza della collettività e con l’ausilio di diversi strumenti per la sua codifica e decodifica e per la sua conservazione.
Questo significa che il futuro della nostra specie, molto di più che in passato e molto di più che per qualunque altra specie, è in larga misura determinato da informazione prodotta e processata dalla collettività umana e dalle macchine, informazione che è in grado di determinare il comportamento di ciascuno in maniera che può essere più o meno adattativa, sia dal punto della conservazione della propria integrità fisica che della propria fitness in senso darwiniano. Un esempio lampante di cosa questo significhi ci giunge da una nuova pubblicazione su JAMA Internal Medicine, in cui un gruppo di ricercatori della Yale University presenta i risultati di uno studio di coorte che ha valutato 538.159 decessi in individui di età pari o superiore a 25 anni in Florida e Ohio tra marzo 2020 e dicembre 2021, analizzando separatamente i dati a seconda della fede Repubblicana o Democratica di ciascun individuo. In accordo con precedenti studi che assegnavano un rischio di morte per SARS-CoV-2 superiore ai Repubblicani, durante il periodo di tempo dello studio, il tasso di mortalità in eccesso per gli elettori repubblicani è stato del 15 per cento superiore al tasso di mortalità in eccesso per gli elettori democratici. Questo dato, che non è certo una novità, è stato già in passato spiegato attraverso la differente propensione dei due gruppi tanto nei confronti delle misure di contenimento non farmacologico che delle vaccinazioni.
Tuttavia, il nuovo lavoro dà una nuova, forte e precisa prova della causalità fra il rifiuto della vaccinazione da parte dei Repubblicani e il maggiore rischio di morte per SARS-CoV-2 di questo gruppo umano: dopo il primo maggio 2021, quando i primi vaccini erano disponibili per tutti gli adulti in USA, la differenza nel tasso di mortalità in eccesso per gli elettori repubblicani rispetto ai democratici si è accresciuta al 43 per cento. Inoltre, negli stati considerati il divario tra il tasso di mortalità in eccesso degli elettori repubblicani e democratici era maggiore nelle contee con tassi di vaccinazione più bassi, che erano in generale anche quelle a più alta prevalenza di elettori repubblicani. Questi risultati evidenziano chiaramente il ruolo delle convinzioni e della tradizione culturale dei gruppi sociali umani nel determinare la sopravvivenza degli individui. Naturalmente, trattandosi in questo caso di mortalità che si manifesta soprattutto in età post-riproduttiva, l’effetto sulla fitness in senso darwiniano può considerarsi molto ridotto; ma questa è una caratteristica dovuta al particolare virus considerato, e non vale per altre malattie prevenibili che colpiscono l’infanzia. Ovviamente, ad essere influenzata qui sarà la fitness non di portatori di un dato tratto genetico, ma di un tratto culturale; gli effetti sulla composizione genetica della popolazione risultante dalla selezione, cioè, saranno imprevedibili.
Tuttavia, questi effetti possono portare alla scomparsa di genotipi che sarebbero in sé vantaggiosi, per puro effetto di quello che potremmo chiamare “ostacolo culturale alla sopravvivenza”; e se pensiamo a quello che può avvenire per esempio a causa del negazionismo climatico, o per meglio dire dell’ostruzionismo nei confronti delle misure da intraprendere dettato da altre tradizioni culturali, è chiaro che l’effetto di imbuto selettivo sull’intera specie umana può essere straordinariamente forte, a dimostrazione del fatto che, nell’epoca moderna, l’effetto dell’informazione non genetica può essere molto, molto più forte di quello della sua controparte conservata nel DNA. Selezione, informazione ed evoluzione, come sempre, agiscono in un intreccio complesso: quanto il peso della prima, guidata dall’uso che si fa della seconda, determinerà la terza, resta tutto da vedere.