coronavirus
Si tratta di un vero «autoisolamento». «Non siamo untori»
di Sara Monaci
5 marzo 2020
2′ di lettura
Per i cinesi, i cinesi siamo noi. Temono di essere contagiati in Italia dal virus nato nel loro stesso Paese. Le attività commerciali gestite dai cittadini cinesi che vivono a Milano sono perlopiù chiuse. Dopo la notizia dei primi casi di coronavirus a Codogno (Lodi), in molti avevano già abbassato la saracinesca, in via Paolo Sarpi, cuore della China Town lombarda. Da lunedì la decisione si è estesa, volontariamente, a quasi tutti i negozi, ad eccezione di quei pochi che, ci spiegano i proprietari, aprono solo per un giorno o due e con ingressi contingentati.
Si tratta di un vero e proprio “autoisolamento”. Ma non temono di essere additati dagli italiani come «untori», come si era detto a inizio febbraio. Non hanno paura delle aggressioni (che purtroppo sono avvenute). Adesso, ci raccontano i più giovani che parlano bene l’italiano, temono di essere contagiati dagli italiani con l’esplosione dei malati di coronavirus in Lombardia.
Quella milanese è la seconda comunità cinese in Italia dopo quella di Prato, composta da circa 300mila persone. Possiedono e gestiscono molti negozi all’ingrosso di abbigliamento, ristoranti, centri benessere, parrucchieri, estetisti e piccole sartorie. In via Paolo Sarpi e nelle strade adiacenti le scritte dei negozi sono da anni in doppia lingua, gli affari cinesi vanno a gonfie vele e ormai il quartiere è diventato da oltre un decennio un luogo di ritrovo anche per gli italiani, essendo zona pedonale. Da una decina di giorni però, se il numero degli italiani è diminuito, quello dei cinesi ancora di più. Si vedono camminare rapidamente, o preparare scatole nei negozi con porte semichiuse. Tutti hanno mascherine. Solo i più giovani e più integrati parlano con gli italiani.
In un bar, decentrato rispetto a China Town, dicono che non sono calati i caffè del mattino visto che tutti intorno hanno chiuso, quindi la clientela si riversa lì.
Alcuni bar hanno deciso di alternarsi. La presenza di personale cinese è però limitata. Spiegano che hanno paura del contagio, ecco perché misure così radicali.