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La rivoluzione del Fisco. Ruffini: “Cittadini non faranno più dichiarazione dei redditi”

Nov 11, 2017

ROMA – Per la fine della dichiarazione dei redditi è iniziato il conto alla rovescia. Diventerà un residuato storico, come quello che il nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini conserva quasi con tenerezza: è il modello 740 che un quarto di secolo fa veniva definito fin troppo bonariamente “lunare”. La copia che tiene sul tavolo, però, è speciale. Si tratta del fac simile distribuito allora dal settimanale satirico Cuore, che conteneva anche il Quadro H “per tutti coloro che non fanno il cocchiere ” e il Quadro T “solo per i possessori di minareto “, nonché il “Quadro Bartezzaghi”.

C’era scritto “destinato ai solutori più abili”. Una parodia indimenticabile: peccato che non fosse così lontano dalla realtà.

“Per fortuna siamo in un Paese diverso. Oggi c’è la dichiarazione precompilata. Ma mi piace pensare che sia soltanto un passaggio intermedio fra come eravamo e come saremo. Lunedì ho convocato da Sogei tutti gli intermediari, commercialisti, consulenti del lavoro e gli altri professionisti perché bisogna partire col piede giusto nel tempo giusto per arrivare agli appuntamenti con proposte il più possibile condivise. Il Fisco deve ascoltare, confrontarsi. E cambiare”.

Ma come cambierà?

“Accumulando sempre più dati ed evitando naturalmente di chiedere quelli che già abbiamo, deve venir meno il concetto stesso di dichiarazione dei redditi. Nel momento in cui il Fisco possiede tutti i dati, ti presenta l’elaborazione di quegli stessi dati e tu da controllato diventi controllore del fisco. Ti fornisco un servizio e hai il diritto di vedere se ho lavorato bene”.

Abolire la dichiarazione dei redditi: questa sì che è lunare. A quando lo sbarco?

“Direi 5 anni. Trattandosi di un’operazione complessa ritengo che l’orizzonte possibile per l’entrata a regime sia questo”.

Attenzione con le promesse: finora si è andati sempre in senso contrario. Confartigianato dice che ci sono 210 scadenze fiscali l’anno. Per non parlare della giungla di norme incomprensibili e contraddittorie.

“L’Italia ha, senza dubbio, un numero di imposte superiore alla media europea. In Svizzera ci sono 25 leggi fiscali, la Germania ha 35 testi unici. Noi abbiamo 388 leggi e 396 decreti attuativi. Solo il testo unico delle imposte sui redditi ha 76 mila parole. Dal 1994 il numero di caratteri è più che raddoppiato. Dal 1986 ha subito 1.200 modifiche. Ma tutti i Paesi, Stati Uniti compresi, lamentano gli stessi problemi”.

Tasse sulle bandiere, tasse perfino sull’ombra. Più di 240 ore l’anno per pagare le imposte, il doppio della media europea. Come si evita tutto questo e si diventa un Paese normale, almeno fiscalmente?

“Dobbiamo diminuire drasticamente il tempo. Quando il Fisco commette un errore, può e deve restituire i soldi con gli interessi. Quest’anno, per esempio, abbiamo già restituito 10 miliardi di Iva e 2 di imposte sui redditi. Ma il tempo sottratto non lo si può restituire alle imprese e ai cittadini. Né a chi lavora qui dentro. E il tempo ha una sua sacralità”.

Ma come? Si ha la sensazione che la burocrazia viva in una dimensione diversa da quella reale, e funzioni solo per giustificare la propria esistenza in vita. Né le cose sembrano migliorare. Dieci anni fa nella classifica della Banca mondiale sulla facilità di fare impresa l’Italia occupava per il fisco il posto numero 117. Oggi è al 126.

“Quando sono arrivato, prima in Equitalia e poi qui, ho avvertito che la macchina non vuole essere percepita come un peso per l’economia, per il Paese, per gli investimenti esteri. Ma per poter governare una macchina serve un motore e quattro ruote, e io le vorrei far diventare tutte motrici. La burocrazia a volte è un serio ostacolo, ma le donne e gli uomini che lavorano qui dentro vogliono essere percepiti come persone che possono dare un contributo allo sviluppo del Paese. Un Fisco efficiente è un motore di crescita per il Paese. È chiaro che per questo è necessario un cambiamento culturale e di prospettiva, anche qui dentro”.

Certe lettere che arrivano ai contribuenti dall’Agenzia sono semplicemente inaccettabili. A uno che chiedeva un chiarimento hanno risposto: “Lo deve sapere lei”.

“Non dimentichiamo mai che dobbiamo rispettare le norme. Poi esiste il buon senso. In Equitalia abbiamo fatto dei gruppi di cittadini per esaminare le lettere, riscriverle e renderle comprensibili. La stessa cosa stiamo per fare qui, perché non c’è nulla di più frustrante di una comunicazione incomprensibile. Costerà fatica e impegno”.

Questo nuovo Fisco “amico” non rischia di rivelarsi un boomerang in un Paese che ha una forte propensione all’evasione?

“Il termine ‘Fisco amico’ non mi piace. Gli amici si scelgono. Il Fisco può essere al massimo un parente, visto che i parenti non si scelgono. Ma a patto che non sia indigesto né invadente. Il recupero dell’evasione è uno degli ambiti operativi dell’Agenzia, ma non l’unico. Centinaia di miliardi entrano spontaneamente: poi, certo, ce n’è anche una parte che entra grazie ai recuperi. Dobbiamo cambiare visione: l’interlocutore di Agenzia non dovrà essere un codice fiscale, ma il cittadino. Con la C maiuscola”.

Dicevamo questo anche perché ora si sta per fare una seconda rottamazione delle cartelle, ovvero una specie di condono. Non rischia di far capire alla gente che può continuare a evadere, tanto ci sarà sempre il modo di sistemare le cose?

“Rottamazione, lo dico da tributarista, non è tecnicamente un condono. L’Agenzia delle entrate – Riscossione non riscuote solo le imposte evase e non sempre chi riceve le cartelle si può definire evasore. A Bologna mi è capitato un signore con una cartella di 6 mila euro di mense scolastiche non pagate, multe dell’autobus e dell’autostrada: aveva perso il lavoro. Era un evasore? Il 53% ha debiti non superiori a 1.000 euro. Credo che dare ai cittadini la possibilità di mettersi in regola senza un salasso di sanzioni e interessi non sia sbagliato”.

Ci faccia capire: è contrario o favorevole ai condoni?

“La prima che avete detto”.

Resta il fatto che il Fisco incassa comunque le briciole. Su 817 miliardi di euro accertati si prevede di aggredirne al massimo il 10 per cento. Assurdo, no?

“Non c’è un Paese che abbia un magazzino così vasto, soprattutto per il tempo, 17 anni. Non sono solo crediti fiscali ma molto di più. Ad esempio multe e contributi previdenziali, calcolati dal 2000 al 2017, che per una serie di motivi non sono mai né recuperati né restituiti agli enti creditori. Imprese fallite, persone scomparse o senza reddito. Il paradosso è la sommatoria degli anni”.

Per non parlare del contenzioso…

“Quello per fortuna va meglio. Nel 2016 abbiamo vinto sette cause su dieci. Il problema è anche lì quanto si incassa dopo aver vinto”.

E veniamo ai controlli. Ricorda il criticato blitz di Cortina? Vedremo ancora quelle scene, mediaticamente assai redditizie, o si darà la caccia ai grandi evasori?

“Il ruolo di Agenzia è come il tutor in autostrada. Non serve a fare multe, ma a far rispettare i limiti. Le tasse dobbiamo pagarle tutti. Il giusto. L’attività dell’Agenzia è valutare i profili di rischio. La riorganizzazione interna varata pochi giorni fa, che ora è nelle sapienti mani del ministro Pier Carlo Padoan, prevede un meccanismo tale da individuare le tipologie di contribuenti con particolare attenzione al rischio. Per capire qual è il settore dove più facilmente si può nascondere l’evasione. Il nuovo modello guarda alla realtà fuori da questa porta e pone al centro i servizi ai cittadini”.

È plausibile che appena l’1% degli italiani denunci più di 200 mila euro?

“Non è verosimile. Ma quello che voglio rivendicare è che se andiamo verso un sistema che rende tutto più semplice, deve aumentare il dato della compliance spontanea rispetto al recupero di evasione”.

C’è chi sostiene che sarebbe essenziale ridurre drasticamente l’uso del contante.

“Negli anni passati non ha determinato un calo dell’evasione. Il problema è la sua tracciabilità. Per esempio, introducendo una norma che esclude dalle detrazioni i pagamenti in contanti se non sono tracciati. Molto più efficace è la fattura elettronica”.

E magari copiare quello che di buono fanno gli altri Paesi.

“Ci sono molte buone pratiche in tutto il mondo. Ma anche qui. Abbiamo degli accordi col sistema bancario, in cui vorremmo coinvolgere positivamente anche Poste, grazie ai quali si può andare al bancomat e vedere se ci sono cartelle da pagare. L’sms per avere le comunicazioni sulle cartelle. Sembravo un matto: chi avrebbe dato il numero di telefono al Fisco? In un anno si sono registrati 130 mila utenti”.

Perché non si è mai fatta una campagna pubblicitaria per spiegare che cosa significa evadere e quali danni sociali causa?

“Vediamoci fra un anno”.

Significa che avete un’idea?

“È all’interno di un progetto più ampio che abbiamo in cantiere per il 2018. Il Fisco dev’essere compreso, nella sua utilità al servizio di tutti”.

Le tasse sono bellissime, diceva Tommaso Padoa Schioppa…

“La bellezza non è una categoria applicabile alle tasse. Le tasse sono il prezzo che paghiamo per vivere in questa società. E vorrei che quando arriva una lettera dell’Agenzia non sia un momento di scompenso cardiaco, perché noi lavoriamo a recuperare risorse per dare concretezza ai diritti dei cittadini: allo studio, alla salute, ai servizi”.

Bisognerebbe spiegarlo anche ai colossi del web che eludono abilmente le imposte. Eppure dovrebbe essere semplice: chi produce reddito in un certo Paese, paga le tasse in quel Paese. Non crede?

“Anche di più, secondo me. Va riconosciuto ai governi Renzi e Gentiloni di aver tenuto alto il nome dell’Italia. Ai tavoli internazionali il ministro Padoan ha posto fortemente questo problema. Ma la cosa che mi rende orgoglioso come cittadino è che c’è un’assunzione di responsabilità verso le generazioni future. Perché l’economia digitale rappresenta l’economia del futuro e se non si pone ora il problema, prima o poi non avremo più niente da tassare”.

La vulgata dice che Ruffini è arrivato fin qui grazie alla sua partecipazione alla Leopolda di Matteo Renzi con quel libro sulla semplificazione fiscale.

“Era il 7 novembre del 2010, lo ricordo bene perché era una data storica”.

La rivoluzione d’ottobre?

“Il mio onomastico, più modestamente “.

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