BRESCIA – POI l’altra Carolina ha deciso che la partita con i bulli doveva vincerla lei. “Ma non provo odio, alla fine sono vittime anche loro”. Mentre Carolina di Brescia si tagliava le braccia per provare a lenire il dolore dell’anima col dolore del corpo, a 140 chilometri dalla sua cameretta, Carolina di Novara – Carolina Picchio, stessa classe ’99, 14 anni all’epoca – iniziava a dare segni di resa: fino al gesto finale. Il lancio dal terzo piano di casa. Tra lei e i giovanissimi aguzzini che l’avevano filmata ubriaca mentre in 5 la violentavano, per poi pubblicare i video e sfotterla su Facebook, hanno la meglio loro.
ERA il 5 gennaio 2013, ma “di quella storia ho saputo solo a marzo di quest’anno. Quando ero in fase di rivincita. Per me e anche per lei che non c’è più”.
Adesso che ha 17 anni Carolina B. dice che inizia a volersi “un po’ bene”, ad accettare il suo corpo e il suo viso che tutto sono fuorché sgradevoli alla vista. E che ha smesso di incidersi la pelle con lamette e coltelli.
“Guardi qua”, sorride seduta in veranda nella villetta di Costalunga, pochi minuti dal centro di Brescia. Carolina mostra i segni bianchi lasciati dalle cicatrici delle ferite che s’è inflitta per due anni. Mamma e papà – ex sportivi – un po’ la coccolano con lo sguardo e un po’ riprendono i più piccoli degli altri quattro fratelli perché non si scollano dagli smartphone.
“La rovina di questi ragazzi è il telefonino “, annuisce Domenico Geracitano, agente di polizia della questura di Brescia. È impegnato da anni in campagne di sensibilizzazione sul cyberbullismo nelle scuole: è lui che ha agganciato l'”altra Carolina”. In uno degli incontri con i ragazzi, la 17enne racconta la sua vicenda: da allora, era lo scorso anno, diventa una piccola testimonial della lotta contro le violenze psicologiche giovanili (e un servizio video sulla sua storia andrà in onda nel programma “Vertigo” su Rai Tre mercoledì 17 agosto, ore 21.05).
Come è iniziata la sua storia di vittima dei bulli?
“Ad aprile 2012, fine della seconda media. Ero al Parco Castelli con la parrocchia: quattro giorni di evangelizzazione. Chi voleva saliva sul palco e raccontava la sua esperienza di fede. Vado su, e parlo. Il giorno dopo mi dicono che hanno postato il video su Fb. Da lì in poi iniziano a dirmi di tutto: sfigata, cesso, sei grassa, sei piena di brufoli, fai schifo, sei una troia obesa… Insulti nelle chat di gruppo della classe”.
E lei?
“All’inizio rispondevo, ma era peggio. Andavano giù ancora più pesanti. Arrivavo a casa, sbloccavo il telefono e trovavo gli insulti: ammazzati, buttati dalla finestra… Se ti dicono che sei grassa, ti vesti larga. Se ti dicono che sei un essere inutile, ti rendi ancora più inutile. Se ti dicono che devi morire il tuo unico desiderio è la morte. E il peggio è che ti senti in colpa, vorresti punirti ma non sai come fare. Fino a che…”.
Che succede?
“Trovo su Internet immagini di braccia tagliate. Penso che quella è la soluzione; provo una volta, mi sembra di avere pareggiato i conti con il mio essere sbagliata. Diventa un’ossessione: mi tagliavo ogni giorno, anche piu’ volte. In camera, in bagno, in doccia. In giro non alzavo mai le maniche”.
Intanto diventa anche lei social- dipendente.
“Ero convinta che la vita vera fosse quella che passa dalle chat. I bulli erano sempre lì, qualcuno lo conoscevo, altri no. È facile insultarti su Ask in anonimo. Ti infossi e inizi a “sfollare” (dare di matto, ndr). Capisco Carolina (di Novara). La sua rovina è stata un video. Anche per me tutto è iniziato con un video. Poi viene il giudizio della rete, ecco. La cosa peggiore è il giudizio”.
Aveva un pensiero fisso, oltre al senso di inadeguatezza da insulti?
“La morte. Alla ricerca di un aiuto postavo questa ossessione di morte ovunque. Coi miei genitori ci scontravamo sempre. Quando scoprono che mi taglio, vanno in confusione. Al primo anno di superiori (istituto professionale) divento scontrosa, menefreghista, incazzata con tutti. Provo a fumare qualche canna. Bulletta per reazione “.
Trentun dicembre 2014. Che data è?
“Litigo coi miei e mi chiudo in camera. Faccio un bilancio della mia vita a 15 anni. Risento le voci dei compagni delle medie: “Sfigata”, “cicciona”. Mi sento una fallita, e cosi prendo l’Ipod e una lametta e scappo di casa. Mi siedo sopra un ponticello, inizio a tagliarmi. Poi mi butto giù. Mi risveglio su un’ambulanza. Mio padre arriva in neuropsichiatria: nonostante il parere dei medici, rifiuta di farmi ricoverare”.
Toccato il fondo cosa succede?
“Smetto di tagliarmi, ma a scuola avevo spesso attacchi di panico. Mia madre ogni volta che stavo male in classe mi portava in posti belli e pieni di pace per farmi ritrovare la calma”.
I bulli?
“Ho iniziato a fregarmene. Ho acquistato più sicurezza, adesso mi voglio bene. Ho capito che sono vittime anche loro. Che per curare le vittime bisogna curare i bulli. Prima mettevo solo felpe nere e larghe. Oggi mi compro anche i tubini, ogni tanto metto scarpe con il tacco “.
Come si sente oggi?
“Sopravvissuta a una guerra. La mia guerra con i bulli. Carolina Picchio non l’ho mai conosciuta, ma so che sarebbe fiera di me. Aveva ragione quando diceva “le parole fanno più male delle botte”. Ma oggi so che le botte si possono curare, basta rivolgersi a chi hai vicino e non cercare di fare tutto da soli”.