AGI – Ci sarebbero fattori genetici alla base di forme di psicosi adolescenziale. A rivelarlo nel corso di una intervista alla Genomic Press Report è Carrie E. Bearden, professoressa di psichiatria, scienze biocomportamentali e psicologia al Center for Assessment and Prevention of Prodromal States (CAPPS) dell’UCLA.
Queste intuizioni trasformative sulla neurobiologia del rischio di psicosi nei giovani, emerse da studi di genetica condotti dalla ricercatrice, potrebbero portare nuove e importanti conoscenze sui processi di sviluppo del cervello e il possibile impatto sulla salute mentale negli adolescenti. La ricerca, pubblicata su Genomic Psychiatry, si basa sullo studio composito di coorti di popolazione classicamente definite ad alto rischio e su indagini di condizioni genetiche che potrebbero predisporre al potenziale sviluppo di patologia; tale strategia di approccio avrebbe fornito cruciali informazioni sull’insorgenze della psicosi in fasi cruciali della vita, tra cui l’adolescenza. Obiettivo dello studio era arrivare all’identificazione di segnali di allarme precoci, quindi sviluppare interventi, mirati e tempestivi, prima di una loro evoluzione verso sintomi gravi.
La ricerca si inserisce in un contesto di medicina personalizzata, basata su informazioni riguardo a fenotipi cellulari e molecolari di neuroni in soggetti con varianti genetiche e specifiche caratteristiche neurocomportamentali. La ricerca inoltre ha indagato anche modelli di sonno, un fattore ancora poco compreso, tuttavia essenziale per la salute e il benessere dell’intero organismo e che subisce cambiamenti sostanziali nell’adolescenza, in ragazzi con disturbi dello sviluppo neurologico, sfruttando una nuova tecnologia indossabile. A detta dei ricercatori, infatti, il sonno può rappresentare un interessante “bersaglio” di trattamento modificabile. Ciò sottolinea come fattori sociali, tra cui anche l’accesso all’assistenza sanitaria e le prospettive culturali, possano influenzare i risultati di un trattamento terapeutico.