ROMA – L’abusivismo edilizio sta soffocando il Sud Italia, le disuguaglianze si sono attenuate grazie alle politiche fiscali ma la povertà è più che raddoppiata, sul mercato del lavoro pesa sempre di più il fenomeno dello scoraggiamento. Domani arriverà alle Camere la relazione del ministero dell’Economia sugli indicatori del benessere equo e sostenibile, ma intanto il Senato anticipa i risultati dei 12 indicatori scelti dalla Commissione nominata dal governo in un ampio rapporto redatto dall’Ufficio Valutazione Impatto. E così scopriamo che la disuguaglianza non è aumentata come si credeva, anzi dal 2014 (primo dato disponibile per questo nuovo indicatore composito) al 2016 è diminuita. La differenza è data dal fatto che questo indicatore considera anche “gli effetti positivi delle politiche effettuate sulle fasce più deboli di reddito”. E quindi il bonus di 80 euro, le detrazioni Irpef da lavoro dipendente, le misure a sostegno del reddito, tutte politiche che hanno avuto un impatto positivo sull’indice di disuguaglianza del reddito disponibile. Mentre quello calcolato dall’Istat dunque sale (e quindi la disuguaglianza peggiora), in questa versione corretta la disuguaglianza (cioè il rapporto tra il reddito percepito dal 20 per cento della popolazione più abbiente e quello percepito dal 20 per cento di quella meno abbiente) si riduce dal 6,8 al 6,4.
Il reddito medio annuo cresce, mentre la situazione del lavoro in Italia, vista con gli occhi del benessere equo e sostenibile, peggiora. Infatti l’indicatore, che si chiama “tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro”, considera il fenomeno dello scoraggiamento, il “lavoro potenziale totale”. Dunque “esprime il numero delle forze di lavoro che non partecipano su 100 forze di lavoro potenziale”, e il risultato è che si è passati dai 15,5 “mancati partecipanti” su 100 del 2004 ai 21,6 del 2016, c’è stato un marcato peggioramento. Un dato che integra e corregge in parte i dati “classici” sul lavoro, che sono decisamente più positivi. Le previsioni sono però per un miglioramento entro il 2020, soprattutto per le donne.
Economicamente stiamo un po’ meglio, ma in buona parte le condizioni di vita peggiorano. E non si sono considerati altri elementi, suggerisce il Senato, a cominciare dalla valutazione del trasporto pubblico locale e della sanità. Sarà per questo che nel 2017 l’Italia è risultata trentesima su 187 Paesi nella classifica del Pil pro capite della Banca Mondiale, e quindi è compresa nel 16% dei Paesi più prosperi del mondo, ma solo al 48° posto nel World Happiness report, decisamente in coda rispetto ai principali Paesi europei. Un dato che negli anni è peggiorato: anche da altre indagini, ricorda lo studio del Senato, emerge “una forte caduta in Italia della soddisfazione della vita negli ultimi anni”.