ROMA. Scoperto un piccolo “sosia” del Sistema Solare: è formato da otto pianeti che ruotano intorno alla stella Kepler-90, distante 2.545 anni luce dalla Terra. L’ottavo componente di questa “famiglia” da record è stato scovato dal sistema di intelligenza artificiale di Google, che ha vagliato i dati rlativi a 675 stelle raccolti dal telescopio Kepler.
L’ultimo componente chiamato Kepler 90i, che compie un’orbita in appena 14,4 giorni contro i 365 giorni della Terra, ed è una distanza inferiore a quella che separa il nostro pianeta dal Sole. “E’ roccioso e così caldo da essere inospitale per la vita”, ha spiegato Paul Hertz, il direttore della divisione di astrofisica della Nasa a Washington. Il sistema di intelligenza artificiale di Google, grazie alla tecnologia dell’apprendimento delle macchine, è stato addestrato a riconoscere le variazioni di luminosità della stella registrate da Kepler che indicano il transito di un pianeta percependo quel che era sfuggito agli astronomi.
“I dati raccolti dai telescopi sono troppi per essere scandagliati dagli umani”, dicono alla Nasa . Soprattutto alcuni segnagli appaino troppo deboli e incerti. La rete neurale di Google invece riesce ad analizzare anche i segnali più disturbati con un il 96 per cento di successo.
“Proprio come pensavamo, ci sono scoperte ancora nascoste nell’archivio dati di Kepler, in attesa che la tecnologia ci aiuti scovarle”, ha detto Jessie Dotson, a capo del progetto Kepler alla Nasa. “E’ la dimostrazione che i nostri dati costituiscono un vero tesoro per i ricercatori per gli anni a venire”. Un progetto identico è stato sviluppato a Zurigo dalla Eth ed è stato annunciato pochi mesi fa. La scoperta, annunciata della Nasa, apre ora ufficialmente le porte dell’astronomia alle reti neurali.
Un passaggio inevitabile, vien da dire. Al contrario di quel si pensa in genere, le Ai di ultima generazione sono capaci di svolgere alcuni compiti con precisione sovrumana ma di perdersi in un bicchier d’acqua in altri frangenti. Una delle cose che sanno far bene però è proprio l’analisi delle immagini, poco importa che siano le radiografie come nel caso di Watson della Ibm o, come in questo caso, i dati prodotti dal fotometro di Kepler che misura le variazioni della luce delle stelle in cerca di tracce di pianeti orbitanti. “Siamo solo all’inizio, abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie”, ha concluso Jessie Dotson. Convinta che lì fuori praticamente ogni stella abbia i suoi esopianeti. Ora si tratta solo di individuarli.