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La «moneta unica» lira aiutò davvero a unificare l’Italia?

Mar 9, 2017

Addio fiorino austriaco del Lombardo-Veneto, lira toscana e scudo lucchese, bye bye scudo romano e carlino dello Stato pontificio, ma anche ducato napoletano e onza siciliana del Regno delle Due Sicilie. Subito dopo l’unificazione del Paese la nuova classe dirigente impose al resto d’Italia la valuta dello Stato pi forte del Regno, il Piemonte, ribattezzandola “lira italiana”. E gi nel maggio 1862 furono fissati i rapporti di cambio con le monete destinate sparire: la lira piemontese corrispondeva a una lira italiana, mentre la lira austriaca venne cambiata a 0,87 lire italiane e una lira toscana a 0,84; a uno scudo pontificio, invece, corrispondevano 5,38 lire.

Un’operazione di unione monetaria veloce e aggressiva compiuta in appena un anno da una classe dirigente – quella della destra storica piemontese – rigorosa, determinata e dotata di enorme senso dello Stato, ma non cos attenta alle ricadute sociali della sua politica. Ovviamente i disagi per la popolazione furono enormi – come spiega Antonio Carioti su Reset – : all’epoca la stragrande maggioranza dei cittadini non sapeva n leggere n scrivere e ovviamente non esisteva la televisione per informarli. Per chi era abituato da sempre a una moneta, adottarne una nuova presentava complicazioni colossali.

Ma la classe dirigente conservatrice piemontese, al potere nel primo quindicennio del Regno d’Italia, era convinta che un’unione monetaria avrebbe contribuito ad accelerare il processo di convergenza nazionale tra economie completamente diverse: un Nord ricco (in particolare Piemonte e Lombardia) grande esportatore verso l’estero e un Sud povero e agricolo.

Vi ricorda qualcosa? Il pensiero corre all’euro, moneta unica introdotta oltre quindici anni fa al posto di lire, marchi, franchi, pesetas e dracme per accelerare l’integrazione tra aree economicamente (e culturalmente) assai diverse.

La grande domanda quindi proprio questa: un’unione monetaria pu davvero accelerare la convergenza di regioni completamente diverse per competitivit economica? Fatti i dovuti e molteplici distinguo, qual la lezione che l’Unit d’Italia pu dare a Eurolandia?

A questa domanda hanno cercato di rispondere alcuni approfonditi studi scientifici, come quello di James Foreman-Peck della Cardiff Business School (Lessons from Italian Monetary Unification) o quello condotto da Leandro Conte, Gianni Toniolo e Giovanni Vecchi delle Universit di Siena e Roma Tor Vergata (The Euro and Europe’s Single Market: Lessons from Italy’s Monetary Unification 1862-1880).

Vediamo innanzitutto se in 156 anni di unit il divario Nord-Sud si colmato. Secondo uno studio di Vera Zamagni, nel 1911 il Pil procapite del Mezzogiorno era inferiore del 40% rispetto a quello del Settentrione. E alla fine della seconda guerra mondiale il reddito procapite del Sud era ulteriormente sceso alla met di quello del Nord: il Mezzogiorno d’Italia si ritrovava a essere la pi grande area sottosviluppata d’Europa, portando all’istituzione nel 1957 della Banca Europea per gli Investimenti proprio per rettificare questi squilibri. Ma nel centenario dell’Unit (1961) il divario tra redditi netti procapite di Nord e Sud era ancora del 45%. Cinquantaquattro anni dopo (nel 2015), nonostante i fondi strutturali Ue, secondo i dati Istat il gap resta al 44,2%. Purtroppo.

Dal punto di vista dell’unione monetaria, Foreman-Peck nota sottolinea come le politiche monetarie appropriate per il Nord manifatturiero lo fossero assai meno per il Sud contadino. Un esempio? Tra il 1880 e il 1890 una grande crisi agricola nata negli Stati Uniti colp molto pi duramente il Mezzogiorno del Settentrione: Sarebbe stato di grande aiuto per il Sud deprezzare una propria valuta nei confronti del Nord o del mondo estero, sottolinea Foreman-Peck.

Ma prima ancora della crisi agricola, l’apprezzamento in termini reali della lira italiana (+30% tra il 1873 e il 1875) tolse al Mezzogiorno la preziosa arma di una moneta debole per conquistare quote di export. Se per esempio la Sicilia avesse potuto deprezzare una sua valuta nei confronti della sterlina, ecco che le esportazioni di Marsala in Gran Bretagna avrebberpo battuto la concorrenza dei vini spagnoli, spiega ancora Foreman-Peck.

In altre parole, la creazione di un’unione monetaria non pose, da sola, le condizioni per il superamento del gap Nord-Sud: il flusso dei commerci e la struttura industriale non si riconfigurarono in modo da creare le condizioni per una convergenza. Come sottolinea lo studio della Cardiff Business School, dopo la riunificazione, Nord e Sud si specializzarono a seconda dei loro rispettivi vantaggi competitivi: il Mezzogiorno esportava pi grano mentre il Nord ne importava di pi, aiutato dal calo dei costi di trasporto che permetteva ai prezzi di scendere nel Settentrione (ma non nel Meridione).

Altri studiosi sottolineano come un’unione monetaria imperfetta come quella italiana, con un gap di competitivit tra Nord e Sud che continua a trascinarsi da oltre un secolo e mezzo, pu resistere all’infinito perch “arbitraggiata” dalle grandi migrazioni del lavoro dal Mezzogiorno.

Tutto questo cosa c’entra con l’euro? Magari non molto, perch le condizioni dell’Unione europea di oggi sono diverse da quelle da quelle dell’Italia ottocentesca: l’esistenza della Banca Centrale Europea rende pi facile la convergenza dei mercati, ma l’Europa sconta – come nota ancora l’analisi di Foreman-Peck – l’assenza di un unico Governo centrale simile a quello dell’Italia unita.

In tutto questo la morale pu essere: non basta una semplice unione monetaria per “costringere” aree economicamente (e culturalmente) diverse a convergere. Accanto a quella monetaria, sono essenziali un’unione fiscale, bancaria e, soprattutto, un’unione politica.

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