AGI – La Marmolada sarà guardata ‘a vista’ fino all’autunno. “D’intesa con la Pretezione Civile si è deciso di monitorarne i movimenti fino alla fine settembre” ha spiegato Nicola Casagli, il geoloco che col suo gruppo di lavoro ha installato nei giorni scorsi gli strumenti per controllare il ‘comportamento’ del ghiacciaio dopo il crollo.
Secondo Casagli “non possono essere esclusi altri crolli”. “Al momento non abbiamo registrato movimenti significativi – ha spiegato l’esperto uscendo da Centro Soccorsi allestito a Canazei – Sulla cicatrice nella parte sommitale non si constatano movimenti anomali. Non possiamo però escludere altri crolli“.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, dell’Università di Parma e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale che da oltre 20 anni studiano il ghiacciaio della Marmolada ha analizzato le cause del crollo del 3 luglio che ha interessato un lembo residuale del ghiacciaio centrale.
Secondo gli studiosi il crollo è stato determinato da:
forte inclinazione del pendio roccioso;
apertura di un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità;
presenza di discontinuità al fondo e sui lati;
aumento anomalo delle temperature che hanno influito sullo stato del ghiaccio;
aumento della fusione con conseguente incremento della circolazione d’acqua all’interno del ghiaccio;
fusione progressiva della fronte glaciale che ha fatto mancare sostegno alla massa sospesa.
“Prima del crollo non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente. Salvo rarissimi casi, nei ghiacciai, a differenza delle frane, non vi sono sistemi di allerta che misurano movimenti e deformazioni in tempo reale. I crepacci, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel distacco, erano visibili già da diversi anni e di per sé fanno parte della normale dinamica glaciale – spiegano – il distacco di seracchi è un fenomeno frequente nei ghiacciai e fa parte della normale dinamica glaciale, più raro il caso di collassi in blocco come quello in Marmolada.
Il ritiro e il riscaldamento determinano un aumento della frequenza degli eventi e in generale un aumento della pericolosità delle fronti glaciali. L’osservazione annuale di molti ghiacciai e’ stata recentemente abbandonata proprio per l’incremento delle condizioni di rischio alle fronti glaciali”. Nicola Casagli, geologo tra i massimi esperti di frane e al lavoro sulla Marmolada per controllarne eventuali movimenti pericolosi dopo i crolli, spiega che per evitare altre tragedie “occorre prima mappare tutti ghiacciai per individuare le zone critiche e installare dei sistemi di monitoraggio solo dove ci sono dei rischi perché si tratta di attrezzature molto costose”.
Se saranno confermati gli attuali trend anche nei prossimi anni è molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada scomparirà prima del 2040. Se dovesse rallentare il processo di riduzione della massa glaciale in ogni caso è improbabile che possa conservarsi oltre il 2060. Solo pochi anni fa i modelli prevedevano una vita del ghiacciaio per altri 100 o 200 anni.
A dirlo sono un gruppo di ricercatori che da oltre 20 anni studiano dal punto di vista glaciologico-geofisico il ghiacciaio della Marmolada. Il team, composto dal professor Aldino Bondesan, glaciologo dell’Università di Padova, responsabile del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi), Roberto Francese, geofisico dell’Università di Parma e membro del Comitato Glaciologico Italiano, Massimo Giorgi e Stefano Picotti, geofisici dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, confermano che nel corso dell’ultimo secolo il ghiacciaio della Marmolada si è ridotto di più del 70% in superficie e di oltre il 90% in volume e, a oggi, esso è grande circa un decimo rispetto a cento anni fa.
Il ritiro ha mostrato una progressiva accelerazione, tanto che negli ultimi 40 anni il solo fronte centrale è arretrato di più di 600 m risalendo in quota di circa 250 metri. La velocità di ritiro media è andata via via aumentando ed è stata di: 0,5 m/anno dal 1902 al 1906; di 5 m/anno tra il 1925 e il 1938; di 8,4 m/anno tra il 1951 e il 1966 e di 10,3 m/anno dal 1971 al 2015.
Tra le principali cause vi è certamente l’aumento della temperatura e in particolare, nella zona della Marmolada, della temperatura minima invernale che nel corso di 35 anni di osservazioni è aumentata di circa 1,5 gradi.