AGI – “Sono passati tre compleanni da quando la mia Gaia è volata in cielo. Nel primo, quello dei suoi diciassette anni ero ancora nella fase della realizzazione della sua scomparsa, ero incredula e avevo avuto la forza di invitare tutti i suoi amici a casa. Per gli altri due non ce l’ho fatta, mi sono quasi nascosta, ma per i suoi vent’anni dovevo organizzare qualcosa di significativo”.
Così Gabriella Saracino, 50 anni, mamma di Gaia von Freymann, la sua unica figlia investita e uccisa sulle strisce pedonali a 16 anni insieme all’amica del cuore e coetanea Camilla Romagnoli nella tragica notte romana del 21 dicembre 2019 a corso Francia, racconta all’AGI la genesi della charity dinner “20 anni d’amore” che il 14 giugno con la sua associazione “GAIA,
Giovani andiamo incontro all’amore’ che porta avanti progetti di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale e iniziative solidali di natura sociale e culturale, organizzerà al Due Ponti sporting club di Roma in occasione di quello che sarebbe stato il ventesimo compleanno di Gaia.
Una festa che avrà una missione solidale (il ricavato dei biglietti sarà devoluto alle cure di Leonardo Di Ceglie, un ragazzo affetto da un osteosarcoma) ma che avrà anche un evidente valore terapeutico per una mamma che da tre anni e mezzo non ha più sua figlia accanto a sé e che ha dovuto affrontare una pesante e psicologicamente usurante vicenda giudiziaria prima che il tribunale condannasse Pietro Genovese, alla guida dell’auto che falciò le due ragazze, per duplice omicidio stradale.
“Voglio che Gaia mi veda allegra e felice per il suo compleanno, anche la mia psicoterapeuta me lo ha chiarito – spiega – io da quella notte di tre anni e mezzo fa vivo sulle montagne russe, tra momenti bui che si alternano a periodi migliori. Per chi perde un figlio sarà sempre così, non c’è via d’uscita, me l’hanno spiegato”.
I momenti più sereni, racconta, sono quelli in cui riesce a sentire sua figlia ancora accanto a sé. “Ho dovuto lasciare la casa, quella al Fleming dove vivevo con Gaia, tredici mesi dopo la sua scomparsa, mi sono spostata al quartiere Prati ma in quel quartiere mi mancavano i suoi riferimenti. E quindi mi sono traferita di nuovo nella zona in cui vivevo con lei, in una casa più piccola della nostra, con una sola stanza da letto. Ma ho portato tutte le sue cose nel salotto open space, su consiglio della mia psicologa”.
Gabriella, racconta, apre l’armadio della figlia tutti i giorni, e appena rientra a casa dal suo lavoro all’Aci si siede sulla cassapanca che ha preso il posto del letto di Gaia e che ha fatto costruire dal falegname che aveva intagliato la sua culla: “E’ un modo per sentirla vicino, io con mia figlia ci parlo ancora, anche nelle occasioni più banali: quando non trovo qualcosa in casa mi rivolgo a lei “amore ti prego, aiutami a ritrovarlo”.
Da quella terribile notte nella quale, vedendo i due corpi sull’asfalto di Corso Francia ha appreso di essere inesorabilmente diventata orfana di sua figlia, Gabriella ha affrontato un percorso terapeutico: “Inizialmente mi sono rivolta a “Save the parents” associazione che organizza terapie di gruppo per genitori che hanno perso un figlio, ma non ce la facevo ad affrontare il dolore di altre sofferenze simili alla mia, e quindi con la psicoterapeuta dell’associazione abbiamo optato per un percorso individuale“.
Poi è arrivato un altro periodo molto buio e adesso si fa aiutare da una terapeuta che, spiega, adotta la tecnica Emdr, un approccio sperimentato negli Usa con i reduci del Vietnam che punta ad affrontare e disinnescare esperienze e ricordi traumatici attraverso degli esercizi oculari: “La prima immagine che ho dovuto rimuovere è stata quello del letto vuoto di Gaia – racconta – quella notte tornando a casa dopo la telefonata del papa’ di mia figlia preoccupato perche’ aveva saputo di un grave incidente a corso Francia, ero sicura che l’avrei trovata nel suo letto perché poco prima mi aveva comunicato che stava tornando a casa”.
L’hanno aiutata, chiarisce, anche gli incontri per la prevenzione degli incidenti stradali che tiene nelle scuole e la vicinanza con i coetanei di sua figlia. Ma che sentimenti prova oggi verso Pietro Genovese, 23 anni, la cui pena per duplice omicidio stradale in appello è stata ridotta a cinque anni e quattro mesi, senza carcere?
“Ho provato molto risentimento verso di lui, ma in tribunale mi ha investito la solitudine di quel ragazzo che non riusciva a sostenere il mio sguardo. Oggi non provo più rabbia per Pietro, la nostra tragedia poteva essere evitata perché viaggiava a una grande velocità ed è risultato positivo al test alcolemico, ma quella sera non è sicuramente uscito di casa con l’intenzione di uccidere due bambine – spiega – però non ha mai chiesto scusa, non ne ha mai avuto la forza. Lo ha fatto suo padre, Paolo Genovese, poco dopo il Natale di due anni fa, un incontro molto sofferto davanti a un caffe'”.
Tutti piccoli passi verso la complicata ricerca di una pace interiore: la aiutano la vicinanza con la mamma di Camilla (“condividiamo lo stesso dolore”) e anche le letture di neuroscienze e di fisica quantistica consigliate dalla sua terapeuta attraverso le quali ha appreso, racconta, che l’energia sopravvive alla materia.
“Il legame con mia figlia e’ indissolubile. Mi sta vicina, ma certo non posso piu’ baciarla come prima. Sono sicura pero’ che esista un aldila’ e anche che non punto a vivere troppo a lungo, perche’ voglio riabbracciarla. Mia figlia era troppo simpatica e amorevole, e io ero la sua forza, l’aveva scritto anche nel suo ultimo tema”. (