Un anno fa, in un convegno organizzato dal Garante della privacy, fui invitato a partecipare ad un tavolo di lavoro dedicato alla sicurezza del dato genetico. In quell’occasione, mostrai come fosse semplice acquisire informazioni genetiche dettagliate, riferite a persone identificate con precisione, attraverso l’uso dei portali di quelle aziende che vendono il sequenziamento e l’analisi del Dna per ricostruire l’albero familiare degli individui, provvedendo anche informazioni sulla propria derivazione ancestrale. In sostanza, come allora spiegai, creando profili fasulli e caricando una sequenza di Dna test, questi portali restituiscono tutti i cosiddetti “matches” ritrovati fra gli utenti del portale stesso, cioè tutti quegli individui che condividono porzioni di sequenza di Dna con il Dna test caricato originariamente. Variando a piacere il Dna caricato sul profilo fasullo, è possibile accumulare informazioni dettagliate su chi condivida qualunque sequenza di Dna di interesse, ricostruendo informazioni specifiche anche su individui bersaglio privilegiati – ma, soprattutto, accumulando informazioni su un gran numero di persone selezionate casualmente per l’identità con porzioni della sequenza di Dna test.
Ora, il punto è che non solo si ottengono informazioni sulle sequenze di Dna degli utenti di questi servizi, ma, in realtà, si ha accesso anche alle analisi di “discendenza ancestrale” per tali individui in un modo abbastanza semplice. Se, cioè, si usa come Dna test un Dna che corrisponde con sicurezza ad una certa discendenza ancestrale, gli individui che saranno “pescati” nel database sotto attacco saranno di quella stessa discendenza ancestrale; e questo è proprio quello che è successo poco prima dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre contro gli israeliani.
Come ha rivelato Wired, i dati di milioni di utenti del servizio di profilazione genetica di Google, 23andMe, intorno al 6 ottobre sono stati messi in vendita da individui che, come poi è risultato, attraverso le password di un gruppo di utenti hanno identificato tutti i “matches” fra i Dna di quelli ed altri utenti del servizio.
Uno dei file messi in vendita sui forum specializzati in questo tipo di attività conteneva le informazioni di oltre un milione di persone di ascendenza ebrea askenazita, il che, ovviamente, equivale ad offrire una schedatura accurata di ebrei o discendenti diretti di ebrei proprio in corrispondenza di un periodo di rinnovata esplosione antisemita nel mondo.
Bisogna che il lettore abbia presente alcune cose, prima di poter apprezzare pienamente la portata di quanto pubblicato da Wired: gli ebrei askenaziti, cioè gli ebrei discendenti di antichi migranti che arrivarono prima in Italia e da qui, nel medioevo, si diressero soprattutto in Europa centrale e orientale, dal punto di vista genetico sono tutti molto simili fra loro. Sono cioè una sorta di famiglia allargata, in cui l’alta conservazione del Dna genomico è dovuto ai numerosi colli di bottiglia storici, costituiti dai vari eventi persecutori cui furono sottoposti gli Askenaziti, e alla segregazione sia spontanea che imposta verificatasi nei secoli.
Per gruppi di persone a diversità genetica ridotta come questo, un match di buona qualità sui database di 23andMe equivale al riconoscimento dell’appartenenza al gruppo suddetto; e anche senza andare a verificare il grado di identità tra un Dna test con i tratti tipici di un individuo di quella discendenza ancestrale e quello di un individuo “pescato” come match, è sufficiente, come è avvenuto in questo caso, ritrovare tutti gli individui che sono simili a quello di test e verificare la “percentuale di ascendenza askenazita” assegnata da Google, per essere sicuri di non sbagliare se non in rari casi nell’identificazione.
In sostanza – questo vorrei dire – abbiamo la possibilità di affibbiare una “stella gialla genetica” ad individui di cui Google ha esaminato il genoma, confermandone l’ascendenza che ci interessa; e così, grazie a episodi di pirateria informatica tutto sommato banali come quello appena occorso, milioni di persone sono esposte adesso al pericolo che qualche antisemita più sofisticato degli altri acquisti i dati necessari ad identificarli e proceda poi di conseguenza, anche diffondendo quei dati ad altri.
In aggiunta, si noti bene che mentre certi comportamenti discriminatori sono proibiti esplicitamente da varie legislazioni – per esempio non è consentito fare differenza fra lavoratori sulla base delle informazioni genetiche, né le assicurazioni possono usare quei dati per personalizzare il costo delle proprie polizze – nessuna previsione specifica è contenuta in alcuna legge per quanto riguarda la possibilità di discriminare ben specifici gruppi di individui con intenti razziali.
È vero che, per la stragrande maggioranza dei casi, le informazioni genetiche non consentono in realtà alcun raggruppamento omogeneo preciso dal punto di vista dell’ascendenza, che possa soddisfare la malattia mentale dei razzisti; ma l’eccezione è proprio quella che riguarda i gruppi più discriminati e più ristretti, cioè quelli che hanno avuto colli di bottiglia genetici e maggiore segregazione, come gli ebrei askenaziti. La segregazione e la discriminazione storica, cioè, producono marchi indelebili non solo sulla vita delle popolazioni e sulla loro cultura, ma anche sui loro genomi; rendendo così autoavverato il sogno di chi quella segregazione e quella discriminazione promuove, e nei secoli causa proprio quelle differenze che sperava di trovare.
Per i motivi illustrati, è quanto mai urgente, anzi indispensabile, far presto a regolare il modo in cui certe analisi sono condotte e i loro risultati condivisi: dietro hobby innocenti, come quello genealogico, si celano rischi grossi, che l’ultimo incidente ha per l’ennesima volta reso palesi.