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La clava dell’ecologismo illiberale contro Defez. L’Italia non è un paese per ricercatori

Ott 1, 2022

L’Italia non è un paese per ricercatori. Questo fatto credo sia ben evidenziato dall’attacco che uno di loro, da me personalmente conosciuto per la sua integrità e per il suo valore scientifico, ha dovuto subire a mezzo stampa. Non ne parlerei, se il modo in cui questo attacco è stato condotto non possa essere considerato un archetipo di una diffusa mentalità e di una cornice narrativa che ogni volta è usata come una clava da parte di una ben identificabile area, quella dell’ecosciovinismo antiliberale in cerca ed in difesa di un suo preciso mercato, sia finanziario che di consenso. 

 

Vediamo i fatti: l’organizzazione GM Watch ha approntato un nuovo rapporto commissionato dal gruppo dei Verdi dell’europarlamento per investigare sui rapporti fra aziende e ricercatori pubblici nel settore delle biotecnologie agrarie. Questo rapporto, citato in una inchiesta della giornalista italiana Alessia Capasso realizzata per AgriFood Today, non è al momento in cui scrivo accessibile, e i link forniti per scaricarlo non funzionano; tuttavia, grazie alla Capasso possiamo leggere ampi virgolettati che da esso derivano, di cui mi interessa qui commentare quelli inerenti ai ricercatori italiani. In particolare, a proposito di Roberto Defez, il rapporto di GM Watch affermerebbe che “ha svolto un’attiva attività di lobby per la revisione dei regolamenti Ue sugli Ogm a favore degli sviluppatori di Ogm”, attraverso la pubblicazione di articoli di opinione sui media e su una rivista scientifica, nonché intervenendo in un’audizione al Senato in Italia”.

    

E qui possiamo subito notare una cosa: come si eserciterebbe secondo gli estensori l’attività di lobbismo? Nientemeno che pubblicando su riviste scientifiche e sui media quelle che sono le proprie convinzioni di esperto del settore e le tesi e i dati che ad esse sottendono. Perché, evidentemente, se non vogliono seguire la narrativa bugiarda che si oppone agli Ogm, fondata persino su frodi scientifiche, gli scienziati sono automaticamente dei lobbisti. Pubblicare dati e fatti, su riviste scientifiche, e raccontare questi fatti in Senato e in ogni sede, compresa quella europea, è invece dovere di ogni ricercatore; altro che lobbismo!

 

Seguendo nel testo dell’inchiesta di Alessia Capasso, leggiamo che Roberto Defez avrebbe addirittura inconfessabili interessi personali. “Nel suo caso sarebbero cinque i brevetti relativi all’ingegneria genetica in cui viene citato come richiedente e/o inventore, tra cui uno “su un metodo per controllare l’espressione genica” realizzato con un’azienda privata”.

  

Ora, si dà il caso che l’intestatario dei brevetti in questione sia l’istituzione pubblica per cui Defez lavora, ovvero il Cnr. Essere “richiedente o inventore”, infatti, non implica affatto alcun ritorno economico, ma solo il riconoscimento per essere stato la testa dal cui lavoro sono sgorgate certe idee. Idee che, giustamente, l’istituzione pubblica ha deciso di proteggere, proprio a garanzia del pubblico interesse, dato che altrimenti sarebbero sfruttabili gratuitamente da qualunque azienda che volesse farlo. Si invertono i fatti: invece di essere fieri del fatto che la proprietà intellettuale sviluppata in un ente di ricerca pubblico è rimasta in capo a quell’ente, e dunque al cittadino italiano, si afferma che questo sarebbe a vantaggio del settore privato e dell’inventore, cointeressati ed in danno al cittadino. Il fatto è che la sola parola “brevetto” basta a lanciare accuse a vanvera, perché di certo il marketing delle frottole verdi non va per il sottile nelle sue allusioni fraudolente.

   

E poi: vogliamo parlare di conflitti di interesse? E allora parliamone. Proprio GM Watch, l’estensore del rapporto, è al centro di un’estesa rete di finanziamento globale, da cui riceve supporto proprio per la sua “advocacy”. È cioè pagata per scrivere ciò che scrive e per dire ciò che dice. I finanziatori del 2011 includevano Friends of the Earth Europe, Friends of the Earth UK, la Soil Association e il Courtyard Trust. Da luglio 2011 a maggio 2012 un editore di GM Watch ha ricevuto un pagamento dall’Institute for Responsible Technology di Jeffrey M. Smith per il supporto editoriale alle newsletter dell’IRT. Nel 2012 e 2013 ha ricevuto finanziamenti dalla Fondazione Isvara, Friends of the Earth Europe e Courtyard Trust. Nel 2014 GM Watch ha ricevuto finanziamenti da Food Democracy Now!, Isvara Foundation e Sheepdrove Trust. Nel 2015-2017 GMWatch ha ricevuto finanziamenti da Friends of the Earth Europe, Sheepdrove Trust e JMG Foundation. Nel 2017-2018 l’organizzazione ha ricevuto finanziamenti da Sheepdrove e JMG. E si potrebbe ovviamente continuare. Qui, tuttavia, il punto è che chi chiede di dichiarare ai ricercatori pubblici italiani inesistenti conflitti di interesse, in realtà manca di trasparenza sui propri interessi finanziari diretti: GM-Watch non è una “charity” ed è finanziata da privati, per cui non abbiamo un bilancio disponibile che permetta di tracciare tutti i suoi flussi finanziari e di conoscere tutti i suoi interessi nel settore in cui opera.

   

Di conseguenza, la chiosa attribuita alla europarlamentare Rosa D’Amato – tristemente nota per le strumentali falsità dichiarate sulla Xylella – ovvero che “purtroppo, gli scienziati coinvolti nel dibattito normativo sugli organismi geneticamente modificati non sempre rivelano in anticipo i loro legami con l’industria della biotecnologia o i loro brevetti”, va leggermente espansa: tutti coloro che sono coinvolti nel dibattito sull’agricoltura e sui modi di produrre il cibo dovrebbero dichiarare i propri interessi finanziari, a cominciare da chi sostiene un mondo Ogm-free, ma guadagna da biologico e biodinamico, passando per i guru di certe associazioni multinazionali, fino ad arrivare a quegli scienziati che sono disposti a produrre dati falsi e guadagnano individualmente dai loro rapporti con aziende biologiche.

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