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Italiani e stipendi, datori di lavoro (ampiamente) bocciati per le buste paga

Mar 13, 2020

MILANO – Dopo cinque anni di rilevazioni sulla soddisfazione degli italiani nei confronti del proprio stipendio, possiamo dire che agli occhi dei lavoratori dipendenti la meritocrazia si conferma una sconosciuta. E anzi, per la prima volta negli ultimi quattro anni registriamo un peggioramento del giudizio complessivo, che resta in ogni caso gravemente insufficiente.

L’Osservatorio Jobpricing, in collaborazione con InfoJobs, ha chiuso la nuova edizione del report Salary Satisfaction, raccogliendo online 2 mila questionari per mappare il giudizio degli italiani nei confronti del loro pacchetto retributivo.

Ne emerge un quadro frustrante: la soddisfazione complessiva cala, e di molto, se è presente solo lo stipendio fisso. Diminuisce con l’inquadramento e cresce con la dimensione aziendale: per la prima volta negli ultimi quattro anni, il livello di soddisfazione è in peggioramento rispetto all’anno precedente (da 4.1 a 3.7 il “voto” espresso). L’insoddisfazione è quasi totale (da 3.0 del 2019 a 2.7 del 2020) per chi non percepisce altri elementi oltre alla retribuzione fissa. Le uniche valutazioni positive arrivano da quadri e dirigenti, per tutti gli altri siamo abbondantemente sotto la sufficienza.

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“Nel complesso – dicono gli esperti degli stipendi – i lavoratori non sono soddisfatti delle loro retribuzioni né degli altri componenti del pacchetto retributivo: il giudizio è leggermente negativo per i principali componenti del reward (soddisfazione complessiva, equità, competitività, performance e retribuzione, trasparenza, fiducia e comprensione e meritocrazia) mentre arriva a un giudizio fortemente negativo per la meritocrazia”.

Sono due gli indizi che fanno scattare, ancora una volta, l’allarme-meritocrazia. In primo luogo, i lavoratori non percepiscono equità e denotano perplessità rispetto al valore del proprio lavoro: l’equità retributiva è in costante peggioramento da cinque anni (da 4.9 nel 2015 a 4.2 nel 2020). In aggiunta la retribuzione non è percepita come proporzionata alla performance individuale: circa il 60% dei lavoratori esprime un giudizio negativo che diventa fortemente negativo in presenza di solo retribuzione fissa.

“Siamo alla quinta edizione della survey e quindi possiamo dire qualcosa non solo sullo stato dell’arte, ma anche sull’evoluzione della soddisfazione dei lavoratori rispetto al loro stipendio”, commenta Alessandro Fiorelli, ceo di JobPricing. “In particolare, sono tre gli aspetti fondamentali che si sono confermati nel tempo dal 2016 fino ad oggi: in primo luogo, la soddisfazione è bassa e il suo andamento sostanzialmente piatto; in secondo luogo, il grado di soddisfazione è fortemente correlato con la percezione di equità e con quella di meritocrazia, che però sono a livelli bassi (soprattutto la seconda) e in costante calo negli ultimi cinque anni; infine, si conferma che i soldi sono importanti, ma non sono tutto. Da quest’ultimo punto di vista, è interessante osservare che oltre il 70% degli intervistati sarebbe disponibile a scambiare una mensilità di stipendio fisso per qualcos’altro, prima fra tutto un investimento sullo sviluppo professionale e che le relazioni personali sul posto di lavoro sono equivalenti alla retribuzione fra i motivi di scelta di un posto di lavoro”.

Il report indaga infatti anche le motivazioni che spingono a scegliere un lavoro e a restare o cambiare posto. Nella scelta iniziale sono sempre più importanti le relazioni interpersonali che passano da un punteggio di 8.7 a uno di 9.0. Si conferma inoltre il peso degli elementi cosiddetti intangibili di natura non monetaria, primo su tutti la formazione e le possibilità di sviluppo di carriera. Se si chiede in quali condizioni si andrebbe altrove, emerge che oltre 2 lavoratori su 3 cambierebbero lavoro per un miglioramento dello stipendio fisso: tuttavia sono piuttosto importanti, e in crescita, sia la possibilità di sviluppo e formazione sia la possibilità di conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. Circa un lavoratore su due sceglie di restare nell’attuale posto di lavoro per le relazioni interpersonali tra colleghi e datori di lavoro: seguono ambiente di lavoro (poco meno di 1 su 2) e work life balance (circa 1 u 3).

“Trend importante di quest’anno è la formazione, perché upskilling e reskilling consentono di creare professionalità tailor made, riqualificare la forza lavoro dove necessario e progettare percorsi di carriera concreti, supportati da una formazione specifica per lo sviluppo delle competenze richieste”, commenta Filippo Saini di InfoJobs.

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Chiosa Fiorelli, alla luce di questi numeri: “I lavoratori ci hanno detto che nel valutare un nuovo posto la priorità l’hanno ancora gli aspetti economici, ma questi scendono decisamente nel ranking delle motivazioni se si tratta di prendere la decisione di non cambiare. Mi pare una conferma di una cosa che imprenditori e responsabili del personale sanno molto bene: puoi attrarre un talento con i soldi, ma non lo convincerai mai a rimanere solo per quelli”.

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