Credo che sia esperienza comune a molti l’interlocuzione con persone che, lontane dalla condivisione di porzioni anche piccole di conoscenza scientifica, ma soprattutto dei suoi metodi e del suo significato, esprimono una sostanziale delusione nei confronti del tipo di conoscenza che da essa scaturisce, perché la ritengono insufficiente in quanto mai certa. Ho già spiegato su queste pagine perché, lungi dall’essere un difetto, il tipo di certezza statistica – o per meglio dire il tipo di confinamento del grado di incertezza, mediante statistica e metodo sperimentale – è precisamente il vantaggio che consente alla scienza di evolvere e migliorare, invece di rimanere immota di fronte a fatti nuovi o alla scoperta di errori, come avviene per la pseudoscienza, il pensiero magico o la religione. Vorrei qui provare a esaminare brevemente la stessa questione sotto un’altra prospettiva: quella dell’informazione che è possibile ricavare sul mondo attraverso un qualunque metodo di indagine, e del suo rapporto con l’essenza della scienza, vista nella prospettiva del falsificazionismo di Popper.
Ricordiamo, innanzitutto, qual è la posizione di questo filosofo per cui egli è più celebre: non è scienza, egli ci dice, e non è un’asserzione scientifica, quella che non può essere messa alla prova dei fatti e della logica, quella cioè che non è, almeno in linea di principio, falsificabile da esperimenti confliggenti con i suoi assunti. In questo modo, la scienza interpreta e fa ordine della nostra esperienza del mondo, con un metodo che mette al primo posto il dato empirico misurabile – ovviamente opportunamente raccolto su base statistica – e alla luce di quello elimina ogni formulazione incompatibile, in modo da ottenere una descrizione il più universalmente valida nello spazio e nel tempo.
Rispolverata la definizione data da Popper, passiamo a un argomento apparentemente molto diverso, ovvero la definizione di informazione moderna – quella data da Shannon. Per farlo, mi riferirò non al suo articolo fondamentale sulla misura dell’informazione, ma a una sua risposta data in un consesso più informale, adattata al punto che mi interessa evidenziare più avanti. Immaginiamo che di un certo oggetto fisico conosciamo tutti i possibili stati, e la probabilità con cui potremmo trovare l’oggetto in uno di quelli, ove andassimo a fare una verifica. Acquisire informazione sullo stato di quell’oggetto consiste nell’attuare una procedura di verifica – una misura – tale da azzerare la probabilità di quanti più stati possibili a priori, aumentando invece al massimo la probabilità per un numero di stati possibili residui che sia il più piccolo possibile. Accusiamo conoscenza totale dello stato del sistema fisico che ci interessa, quando la probabilità che esso si trovi in un certo specifico stato tra quelli inizialmente possibili è determinata pari al 100%, mentre per tutti gli altri è portata a zero; ma anche senza arrivare a questo stato di certezza, acquisiamo più o meno informazione dalla misura che effettuiamo, in ragione dell’azzeramento della probabilità per tutti gli stati teoricamente possibili che scartiamo e in ragione del concentrarsi della probabilità in un numero il più piccolo di stati possibili dopo la misura.
Ed eccoci, quindi, al punto che mi interessa: la procedura di eliminazione di ipotesi possibili circa il mondo per mezzo del metodo sperimentale consiste esattamente nel guadagnare informazione sul mondo, definita nel modo che abbiamo visto sopra, perché elimina dal novero delle possibili descrizioni del mondo una serie di ipotesi teoricamente possibili con una certa probabilità. Il metodo scientifico sperimentale, cioè, consiste proprio nel guadagnare informazione sul mondo, eliminando ipotesi possibili a priori, ma scartate a posteriori dopo le opportune misure; e in questa ottica vi è un evidente ponte fra il falsificazionismo di Popper e la definizione scientifica di informazione data da Shannon. Vi è però un ingrediente ulteriore da considerare, che distingue l’acquisizione di informazione almeno provvisoriamente vera tipica della scienza dall’acquisizione di informazione in modo indiscriminato, e che è il punto di superiorità della scienza rispetto ad altre forme di pensiero quali quello magico. Lo scarto di ipotesi fra tutte quelle possibili, cioè, può avvenire anche attraverso un processo intuitivo e idiosincrasico; in questo modo, secondo la definizione di Shannon, guadagno sì informazione, ma essa è inutile se deve servire a conoscere il mondo in maniera tale, da poter fare previsioni su come ci si presenterà a una verifica basata su una misura.
Se invece lo scarto è fatto conservando proprio quelle ipotesi che meglio si adattano alle misure effettuate, come è proprio del metodo scientifico, e se ammettiamo che l’universo non sia così erratico da impedire l’esistenza di qualsiasi legge che correli una misura a una previsione – condizione questa verificata da Galileo in poi – allora l’informazione guadagnata mediante il metodo scientifico ha un vantaggio su tutte le altre: essendo ricavata dallo stesso universo fisico, e non da un processo mentale da esso indipendente, è straordinariamente coerente con esso, ed è quanto di più prossimo a una descrizione dei “fatti” si possa trovare.
E i fatti, si sa, hanno la testa dura; per cui è meglio conoscerli, piuttosto che essere sorpresi da essi, come dimostra l’adattamento a raccogliere ed elaborare informazione sul proprio ambiente fisico che interessa ogni sistema biologico, dai virus fino al nostro cervello. Possiamo credere a ciò che ci pare, e lo facciamo comunque, volenti o nolenti, a causa del nostro cervello; ma sarebbe salutare per tutti, se riconoscessimo collettivamente il valore di un’informazione acquisita collettivamente con un metodo che scarta ipotesi e panzane per confronto con ciò che si intende conoscere, perché questo è il modo per acquisire conoscenza, e non solo informazione.