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Indennizzo alle vittime di reati violenti, la corte di giustizia europea condanna l’Italia

Ott 11, 2016

Non ha rispettato una direttiva comunitaria, e anche se in extremis è stata formulata una legge, la condanna per lo Stato italiano è arrivata lo stesso. Questa mattina la Corte di Giustizia europea ha emesso la sentenza contro l’Italia rea di non essersi adeguata alla normativa Ue per gli indennizzi alle vittime di reati violenti dolosi. Nel caso in cui, ad esempio, una donna abbia subito uno stupro ma il colpevole non sia stato trovato o non abbia possibilità economica di risarcirla, è lo Stato a dover provvedere a rifonderla. Stessa cosa ad esempio per omicidi, o rapine. L’indennizzo, secondo la norma europea, deve essere “equo e adeguato”, il che significa che non è sufficiente la tutela prevista dalla nuova legge emessa quest’estate. La norma del 7 luglio 2016 stabiliva infatti che potessero essere indennizzate solo le vittime che hanno un reddito non superiore agli 11 mila euro l’anno, e che il risarcimento possa arrivare dallo stato solo al termine del processo con una sentenza di condanna con l’obbligo di tentare costose procedure per ottenere il pagamento dal condannato. Inoltre la vittima – sempre secondo la legge italiana – non deve aver percepito alcuna somma di denaro da parte di enti pubblici o privati o anche persone.

Con la sentenza di oggi si sancisce il principio che anche l’Italia deve adeguarsi alle regole degli altri stati comunitari “garantendo al cittadino dell’unione europea il diritto a ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite sul nostro territorio”. Gli Stati membri devono garantire alle vittime non soltanto l’accesso a un indennizzo secondo il principio di non discriminazione, ma soprattutto un livello minimo di indennizzo per qualsiasi tipologia di reato violento.

Questa decisione della corte di giustizia europea è importante anche per tutta una serie di procedimenti che attendevano in tutta Italia una pronuncia per poter procedere con le richieste di condanna dell’Italia. E’ il caso ad esempio della causa pilota partita da Torino, dove una ragazza vittima di uno stupro nel 2005 da

parte di due romeni aveva ottenuto sia in primo grado che in appello una sentenza civile di condanna del governo per inadempimento alla direttiva. “Con questa sentenza la causa di questa ragazza potrà finalmente arrivare alla sua conclusione nel processo che pende in Cassazione”, spiega l’avvocato Marco Bona esperto in tutela dei danneggiati, e che per primo ha ipotizzato una responsabilità da parte dallo Stato per la mancata attuazione della direttiva europea.

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