MILANO – La transazione a un mondo dove l’economia sia realmente sostenibile, e a basso impatto di emissioni di carbonio, non può aspettare. Servono 180 miliardi di euro l’anno di investimenti supplementari perché gli obiettivi concordati a Parigi si realizzino: specie quello forse più importante, che prevede la riduzione del 40% delle emissioni di gas effetto serra entro il 2030 nell’Ue.
Per questo la Commissione l’8 marzo scorso ha presentato un piano d’azione articolato “per un’economia più verde e più pulita”; e per questo a Bruxelles si sta lavorando per mettere insieme un gruppo di esperti che la affianchino nell’attuare il piano, e giungere entro la fine di giugno a realizzarne i primi tre capisaldi: una proposta di legge comunitaria per garantire l’elaborazione progressiva di alcune definizioni ufficiali per i cambiamenti climatici e le attività sostenibili sotto i profili ambientale e sociale; la modifica delle direttive Mifid 2 e Idd per far sì che le preferenze in materia di sostenibilità siano tenute in considerazione nelle valutazioni di “adeguatezza” degli investimenti; una serie di atti delegati in materia di trasparenza su metodologie e caratteristiche degli indici finanziari di sostenibilità, da armonizzare poi con gli indici di impatto di carbonio.
Secondo una tabella di marcia breve, che sfora al 2019, Bruxelles si muoverà nei prossimi trimestri su altre tre linee chiave: la valutazione dell’uso di “etichettature verdi” (Ecolabel) per certi prodotti finanziari; la definizione di standard per i prospetti informativi delle “obbligazioni verdi”; la possibilità di adottare requisiti patrimoniali che riflettano più adeguatamente il rischio delle attività sostenibili detenute da banche e assicurazioni. Obiettivi articolati e ambiziosi, che potrebbero cambiare volto alla finanza europea; del resto, senza coinvolgerla e limitandosi all’enclave “verde-etica” non sarebbe possibile trovare i fondi necessari alla transazione all’economia circolare perseguita dai legislatori.
Tra gli esperti italiani interpellati potrebbe esserci Banca etica, tra gli alfieri della nicchia nostrana e già coinvolta, via Forum per la finanza sostenibile, nella stesura del piano d’azione Ue. “Il documento mostra alcune criticità di visione e un eccesso di timidezza verso la finanza e il modello neoliberista – commenta Alessandro Messina, dg di Banca etica – ma per ambizione e ampiezza degli obiettivipotrebbe veramente diventare una pietra miliare della futura Unione”. Il banchiere fa l’esempio della definizione “finanza sostenibile”, liberata da certa retorica ecologista da salotto per tenere in considerazione anche i fattori sociali che condizionano quelli ambientali: “le considerazioni di ordine sociale possono fare riferimento a questioni di ineguaglianza, inclusività, rapporti di lavoro, investimenti in capitale umano e comunità”.
Bruxelles punta insomma a sdoganare le migliori pratiche della finanza etica, entrate un anno fa nell’ordinamento italiano con l’art. 111 bis del Testo unico bancario. Sempre che le lobby, avvisa Messina, non affossino tutto: “Le esperienze di questi anni, con molti ottimi propositi normativi spesso tradotti in regole malscritte con effetti a volte opposti, impongono cautela. Andrà posta grande attenzione a come verranno declinati i singoli obiettivi: il diavolo è nei dettagli, e le lobby che contano a Bruxelles e Francoforte non si sono finora distinte per interesse nella finanza sostenibile”.