Che la transizione green avrebbe comportato enormi problemi era chiaro a tutti tranne, forse, ai vertici dell’Unione Europea che hanno sottovalutato la potenza cinese nel campo della produzione delle batterie delle auto elettriche. L’invasione del mercato del Vecchio Continente da parte delle vetture prodotte in terra del Dragone era annunciata da più parti e solo quando si è manifestata in tutta la sua forza si è cercato di correre ai ripari con misure inadeguate.
La marcia indietro sui dazi
Molte sono state le voci inascoltate da parte di chi siede a Bruxelles, quando si è cercato di mettere in guardia sui pericoli di un mercato di auto a zero emissioni completamente falsato per via di una supremazia cinese nel settore. Soltanto quando si è capito, numeri alla mano, che i costruttori orientali avrebbero potuto offrire i loro prodotti a prezzi inaccessibili per i costruttori europei, si è deciso di applicare dei dazi poi rivisti nelle percentuali.
La Commissione Europea, con colpevole ritardo, ha evidenziato come l’intera catena del valore delle auto elettriche in Cina benefici di sovvenzioni sleali che stanno causando una minaccia di pregiudizio economico ai produttori dell’Ue, ma a differenza di quanto annunciato a Giugno ha applicato dei dazi rivisti dopo consultazioni svolte con il governo Cinese premiando, soprattutto, quei costruttori che hanno deciso di collaborare con l’Unione.
Nello specifico, le misure applicate nei confronti dei produttori asiatici hanno visto il dazio a carico della Byd restare invariato al 17,4%, mentre per Geely la percentuale è passata dal 20% al 19,9% e per Saic dal 38,1% al 37,6%. Quest’ultima azienda a ben vedere è quella maggiormente penalizzata nonostante il lieve ritocco al ribasso così come tutte quelle società che non hanno collaborato con l’Ue e a cui verrà applicato un dazio del 37,6% e non più del 38,1%.
Le critiche dei produttori europei
Le misure tardive adottate da Bruxelles, però, hanno fatto storcere il naso ai produttori europei. In molti, infatti, hanno ritenuto non corretta l’applicazione di questa misura e ben 31 sigle di differenti associazioni di categoria hanno recapitato una dichiarazione congiunta per chiedere ai politici europei un cambio di rotta in materia. Nello specifico la richiesta è quella di non imporre barriere al commercio ma favorirne l’apertura.
“Il commercio rimane una pietra miliare della forza economica dell’Ue, sostenendo direttamente un posto di lavoro su cinque attraverso le esportazioni” si legge nella lettera pubblicata anche sul sito dell’Acea. “Il commercio è un vantaggio significativo per i consumatori, in quanto amplia le possibilità di scelta – un sentimento condiviso dal 60% degli europei – e attira investimenti esteri che favoriscono la crescita e l’innovazione”“Inoltre, la diversificazione delle strategie di approvvigionamento e di esportazione rafforza la capacità dell’Ue di affrontare e superare le crisi. Questi fatti rafforzano la necessità di mantenere l’apertura e la crescita come componenti fondamentali della politica commerciale dell’Ue. Per raggiungere questo obiettivo è necessario dare priorità alle politiche che aprono mercati nuovi e diversificati attraverso accordi commerciali e riducono le barriere tecniche al commercio“.
La dichiarazione congiunta sottoscritta da 31 associazione mira ad una politica commerciale dell’Ue differente nel prossimo ciclo istituzionale e l’invito della coalizione è non solo quello di aumentare l’apertura commerciale perseguendo accordi commerciali nuovi e rinnovati per migliorare l’accesso al mercato, ma anche quello di provvedere alla nomina di un commissario al commercio che si occupi di questa competenza esclusiva dell’Ue assicurando una leadership mirata e una direzione strategica.