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Impiccato in carcere. Per la procura non è suicidio, ma la famiglia non si arrende

Mar 25, 2023

AGI – La morte in carcere di Stefano Dal Corso è un vero e proprio giallo. Il presunto suicidio del 43enne – trovato cadavere nel penitenziario Casa Massama di Oristano, in Sardegna, il 12 ottobre scorso – non convince la famiglia dell’uomo che si è affidata all’avvocato Armida Decina e al medico legale Cristina Cattaneo, il consulente forense che ha lavorato alla risoluzione dei delitti più conosciuti in Italia: dall’omicidio di Serena Mollicone al caso di Stefano Cucchi.

La procura di Oristano, nonostante le tre istanze presentate dall’avvocato Decina, ha deciso di chiedere l’archiviazione del fascicolo aperto con ipotesi di omicidio colposo. Secondo l’ipotesi di chi ha svolto le indagini, dunque, non c’è alcun dubbio: Stefano, nato e cresciuto nel quartiere romano Tufello, si è impiccato alla grata davanti la finestra, proprio sopra il letto, in carcere. Nessuno avrebbe potuto fare nulla per evitare questa tragedia. C’è però più di un elemento che non quadra a cominciare dall’assenza di un esame autoptico sul corpo del 43enne.

Secondo il pm Armando Mammone, non c’è alcuna necessità dell’autopsia “data l’insussistenza di elementi idonei che potessero giustificare detto esame medico”.

Non dello stesso avviso il medico legale Cattaneo che ritiene invece necessario l’esame per stabilire le cause della morte di Dal Corso. Tanto più che non ci sono testimoni diretti del gesto: nessun detenuto avrebbe visto o sentito nulla nelle ore in cui, si presume, possa essere avvenuto il fatto.

“Le indicazioni scientifico-forensi nazionali e internazionali sulle investigazioni delle cause di morte (tra cui il Minnesota Protocol delle Nazioni Unite) suggeriscono sempre l’effettuazione dell’esame autoptico completo soprattutto in casi di morti in custodia, senza il quale è impossibile giungere a un giudizio affidabile”, scrive il medico legale in una comunicazione inviata al pubblico ministero. In questo caso, poi, è ancora più complicato arrivare a conclusioni senza un esame medico approfondito.

Non esistono infatti nemmeno le foto del corpo di Stefano impiccato (o almeno ad avvocato e medico legale non sono mai arrivate, ndr) e quelle esistenti sono dell’uomo vestito (15 in tutto). “Dalle poche immagini visionate si intuisce che vi è un solco al collo con margini arrossati. Questo unico elemento non può essere dirimente per una diagnosi di suicidio né di morte per impiccamento – scrive ancora la dottoressa Cattaneo -. L’autopsia giudiziaria è fondamentale in questi casi per sciogliere i nodi almeno su quanto segue: se il solco al collo sia l’esito dell’impiccamento o di un precedente strangolamento cui è seguita una simulazione di impiccamento; se il soggetto fosse vivo al momento dell’applicazione di un laccio (o altro) intorno al collo; se vi siano segni interni coerenti con l’ipotesi di asfissia meccanica per impiccamento; se vi siano segni riconducibili a colluttazioni (colpi ad esempio non sempre visibili al mero esame esterno); se siano state assunte o somministrate sostanze stupefacenti o farmaci; se vi siano tracce genetiche riconducibili all’intervento di terzi nella dinamica del decesso”.

“In mancanza di questi elementi desumibili soltanto dall’autopsia e conseguenti indagini di laboratorio, non è possibile dichiarare la morte per asfissia meccanica, né stabilire che la modalità sia stata suicidiaria”, conclude il medico legale di Dal Corso.

Ma cosa spinge la procura a essere certa che sia un suicidio? Questo non è chiaro. Anche perché l’umore di Stefano, nei giorni precedenti al suicidio, era buono e mai aveva dato modo di pensare a un epilogo del genere. A dimostrarlo – secondo la famiglia – anche una lettera nella quale scriveva alla compagna di “voler uscire dal carcere per passare del tempo con lei e con la loro figlia”.

E non mancava poi così tanto: il 43enne avrebbe infatti finito di scontare la pena per spaccio di droga, derivante da una condanna passata in giudicato e divenuta definitiva, il prossimo 31 dicembre. E c’è anche chi da Roma ha fatto partire una raccolta fondi per pagare l’autopsia di Stefano.

“Per il pm Stefano si è suicidato. Per la famiglia e chi ha conosciuto Stefano l’unica certezza e verità da cui bisogna partire è che mai si sarebbe tolto la vita. Per iniziare questa ‘guerra’ di verità e giustizia dobbiamo pagarci l’autopsia. Servono tanti soldi: 6 mila euro. Noi non lasceremo sola la famiglia di Stefano”, afferma Giuliano Castellino di ‘Italia Libera’ che, insieme ad altri militanti, sta sostenendo i familiari del 43enne. Ex leader romano di Forza Nuova e per una vita braccio destro di Roberto Fiore, Castellino è oggi a processo, insieme ad altre persone, tra cui lo stesso Fiore e l’ex Nar Luigi Aronica, per l’assalto alla Cgil del 9 ottobre 2021. 

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