• 30 Settembre 2024 9:26

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Il rave che non lo era

Ago 19, 2021

Cos’è successo al confine tra Toscana, Lazio e Umbria tra il 13 e il 18 agosto 2021? Per capirlo, al di là delle strumentalizzazioni fioccate quando Gianluca Santiago, inglese di 24 anni, è annegato in un lago a qualche chilometro dal “rave di Viterbo”, è bene cominciare a chiamare le cose col loro nome.

Se già il termine “rave” non è corretto – si tratta di free party: “feste libere”, ma anche “feste gratuite” –, quanto si è svolto nel comune di Valentano non era un semplice free party, ma un raro teknival: un raduno di molte crew da tutta Europa con i loro soundsystem

Come tutti gli eventi di quella portata, aveva anche un nome proprio: Space Travel. Per capire perché migliaia di ragazzi siano stati disposti a mettersi in viaggio per centinaia di chilometri verso una destinazione ignota (gli organizzatori hanno rilasciato le informazioni gradualmente: prima “Italia”, poi “Centro Italia”, infine l’ubicazione precisa), è necessario uscire dall’empasse in cui si sono arenate tante narrazioni: il teknival non è un orrido avello, ma un appuntamento di rango mondiale in cui si può ascoltare musica techno, tribe, tekno e hardcore di livello sopraffino. Quando si è diffusa la notizia dell’annegamento, è partita una corsa a presentarlo come un girone infernale, quando si trattava di un evento organizzato con significativa perizia tecnica: gli stage erano enormi e distanziati su un’area di vari chilometri (inconsistenti, quindi, le accuse di “assembramenti”) e il villaggio che gli si era formato attorno presentava servizi di ogni tipo, dalla birra alla spina alla pizza nel forno a legna.

 

Quando poi è partita la macchina delle fake news – “cani abbandonati!”, “stupri!”, “altri morti!” –, è diventato difficile fare valutazioni corrette su quanto stesse accadendo; di certo, la pressione è aumentata fino a persuadere gli organizzatori a intavolare una trattativa con le forze dell’ordine, che fin lì avevano monitorato la situazione scegliendo un corretto approccio di minima interferenza. La data della fine del teknival doveva essere il 23 agosto; alla fine le crew hanno deciso di smontare il 18 agosto, rinunciando al secondo finesettimana ma trovando così il tempo di ripulire l’area e di lasciare che gli ultimi partecipanti si rimettessero in auto sobri.

Legittimo chiedersi se si potesse evitare la tragedia: non si può paragonare un teknival a feste centralizzate come il “Bordel23” svoltosi senza incidenti il mese scorso a Tavolaia, con un solo soundsystem e crew con vent’anni di esperienza sul campo. Un teknival con novanta crew diverse è un contesto in cui il rizoma si sfilaccia in ogni direzione, con affluenza di gente non sempre attrezzata per vivere un evento del genere in modo responsabile.

Adesso, come è già accaduto più volte negli anni, la repressione crescerà e il movimento si sgonfierà per un po’: la lezione è forse che i free party, da quando non sono più nicchia ma movimento di massa, non reggano strutturalmente presenze oltre le poche migliaia di persone senza che ciò comporti un innalzamento critico della probabilità di incidenti gravi. Si può discutere del fatto che quando muore qualcuno nell’ambito di attività socialmente accettate ma più letali, come il motociclismo o l’alpinismo, non scattano polemiche simili, ma non si può non tener conto che la natura stessa dei free party, il loro stato di eccezione (gratuiti, sorti dal basso, anarchici, provocatori), porti con sé una naturale tendenza alla loro stigmatizzazione, e che ciò imponga ai partecipanti, foss’anche solo per la difesa della loro esistenza, un grado di responsabilità maggiore.

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