Il governo ha appena annunciato l’adozione di un “piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl e di altri oppioidi sintetici”.
Qualche tempo fa, ho dedicato un po’ di pagine a esaminare la crisi causata proprio da Fentanyl e oppioidi sintetici negli Usa, per cercare di dimostrare come il mercato criminale stesse sempre più prendendo coscienza di questo nuovo affare, e come, al contempo, bisognasse stare attenti a non criminalizzare l’uso medico o le aziende produttrici del Fentanyl e delle molecole derivate, che sono importantissime in terapia del dolore; già il titolo del nuovo documento governativo, che rivolge l’attenzione agli “usi impropri” non può quindi che lasciarmi contento.
In generale, inoltre, possiamo apprezzare uno dei rari casi in cui si cerca di prevenire una crisi, invece di intervenire a valle. Oggi, infatti, da noi i consumatori di Fentanyl come droga non sono certo un problema rilevante – e non lo sono nemmeno in Europa, come avevo scritto – ma viste le dinamiche che sono alla base della sua esplosione negli Usa, il rischio che tale dinamica si replichi anche da noi non è affatto remoto.
In aggiunta, il piano di prevenzione del governo è fatto bene, meglio di molti altri: le azioni da intraprendere sono ben calibrate e distribuite fra una quantità di attori istituzionali, presi appropriatamente e senza introdurre organismi ad hoc – come spesso è italico vizio – ma concentrandosi sulle competenze di quelli già esistenti. Vi è persino una sezione dedicata alla prevenzione mediante la comunicazione pubblica, un passaggio necessario ma spesso ignorato in passato: finché i drogati – o gli “zombie”, come sono stati definiti nel caso del Fentanyl – non si vedono, quasi sempre si è preferito nascondere la polvere sotto il tappeto.
Tuttavia, a fronte di un piano relativamente ben congegnato, impegnato in prevenzione e con le giuste istituzioni coinvolte, nel documento si nota una macroscopica assenza: la parte finanziaria. Non dico le risorse, ma nemmeno i costi sono minimamente indicati; non esiste, in particolare, una stima delle spese necessarie a fronte delle varie azioni previste e di conseguenza non è illustrato in alcun modo come e dove si reperiscano le corrispondenti risorse finanziarie.
Il ministero dell’Economia e delle Finanze è nominato solo nella parte che riguarda il contrasto all’importazione clandestina degli oppioidi sintetici e dei loro precursori, in quanto responsabile dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Per il resto, non vi è nessuna indicazione di come esso sia coinvolto, quando e in che modo, nella definizione di un budget per le progettate attività.
In altre parole, non solo costi e coperture sono completamente assenti dal documento, ma nemmeno è indicata una strada che possa portare alla loro definizione, né chi dovrebbe esserne responsabile.
A questo punto, di fronte alla fanfara mediatica montata, e osservando le reazioni di chi accusa – a torto – di proibizionismo il governo, e chi ne loda – giustamente – l’aver studiato un piano per prevenire una possibile crisi, ci si chiede come mai nessuno abbia badato all’aspetto che come sempre è il più importante: i numeri, in termini di costi, dotazioni finanziarie, tempistiche.
Senza quelli, siamo nel regno delle buone intenzioni e del marketing politico, nulla più. È apprezzabile lo sforzo di scrittura e di analisi, ma occorre che qualcuno ci dica poi come trasformare un pezzo di carta in una reale iniziativa di prevenzione e contrasto, specialmente se così ramificata e approfondita come quella descritta.