• 6 Dicembre 2025 4:14

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Il petrolio cala, ma la benzina costa ancora cara: perché

Giu 30, 2025

Il costo di benzina e gasolio resta caro, nonostante il petrolio sia tornato giù di colpo. Dopo le fiammate di metà giugno spinte dal conflitto Israele-Iran, il Brent è sceso sotto i 68 dollari e il WTI fluttua poco sopra i 65. Eppure al distributore i tagli veri non si vedono. Il mercato si è sgonfiato grazie a una tregua diplomatica e alle nuove mosse dell’OPEC+, ma le pompe restano lente ad allineare i listini. Ne scaturiscono accuse di speculazione, esposti all’Antitrust, controlli della Guardia di Finanza e automobilisti di nuovo ostaggio del solito disallineamento. E gli analisti avvertono: i prezzi del greggio restano fragili, pronti a rimbalzi improvvisi se la tregua salta. Alla pompa, intanto, si paga: rapido in salita, lento in discesa.

Perché il greggio è tornato sotto 70 dollari

Dopo aver sfondato quota 75 dollari a causa delle tensioni tra Israele e Iran, il Brent è tornato sotto 68 dollari, mentre il WTI galleggia poco sopra i 65. Una fiammata geopolitica stoppata da una tregua improvvisa, con mediazioni internazionali che hanno riaperto i canali di dialogo. Meno rischio sui flussi e sulle infrastrutture significa maggiore offerta e quotazioni in discesa. Il quadro macro spinge nella stessa direzione, e i mercati hanno reagito.

Negli Usa le scorte di greggio sono salite di quasi 3 milioni di barili nell’ultima settimana di rilevazione, segnale di domanda in rallentamento. E l’OPEC+, pur avendo confermato i tagli per blindare i prezzi, si muove su un filo: più scorte in magazzino, più pressione per allentare i rubinetti. Rispetto a inizio anno, quando il Brent sfiorava gli 80 dollari, il calo è evidente. Resta, tuttavia, una variabile impazzita. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) prevede ancora una crescita della domanda globale di oltre 1 milione di barili al giorno entro fine 2025. Un missile o una sanzione nuova e il quadro finisce per ribaltarsi nel giro di 48 ore. E la pompa segue a ruota.

Come mai la pompa non segue subito il greggio

Il greggio scende e la pompa resta immobile. Il barile non coincide con la benzina. Prima di arrivare nel serbatoio, il petrolio passa per raffinazione e mercati all’ingrosso. In Europa il punto di scambio chiave è l’area ARA (Amsterdam-Rotterdam-Anversa), dove si fissano i valori di benzina e gasolio già raffinati. Se questi listini tengono quota o rallentano a calare, l’effetto sui distributori slitta di giorni o settimane.

Pesano soprattutto le accise: in Italia sono tra le più pesanti d’Europa, coprono oltre il 55% del prezzo finale alla pompa. Una parte di queste imposte risale a emergenze del passato — guerre, ricostruzioni, terremoti — mai cancellate. L’IVA al 22% si applica sull’intero importo — costo industriale sommato alle accise — una tassa sulla tassa che moltiplica ogni centesimo.

Il ritardo è storico: quando il greggio sale, i distributori adeguano i cartelli immediatamente. Cala? Servono giorni perché lo sconto arrivi. Secondo l’Unione Nazionale Consumatori, nell’ultima settimana di giugno un pieno di benzina è salito di quasi 1,90 euro rispetto a inizio mese. Lo stesso vale per il gasolio, con rincari intorno ai 2,40 euro a rifornimento. L’effetto? Accuse di speculazione e un esposto all’Antitrust già sul tavolo.

Quanto costa fare il pieno ora

Le tabelle ufficiali del MASE assomigliano a una sentenza: nell’ultima rilevazione la benzina in modalità self-service sfiora 1,734 euro al litro, il gasolio si ferma a 1,643, o risultano pure maggiori, come ad esempio in Lombardia. Un pieno medio da 50 litri oggi tocca quasi 87 euro per la benzina e oltre 82 per il gasolio. Appena una settimana fa lo stesso rifornimento pesava almeno 2 euro in meno. Lo schema è sempre lo stesso: quando il Brent corre, i listini reagiscono all’istante. Quando il greggio si sgonfia, la discesa rallenta. Lo si è visto nel 2022 con l’esplosione post-Covid, lo stesso nel 2023 dopo i picchi legati all’OPEC+. In estate, con i viaggi in aumento, l’effetto si amplifica.

Un raffronto con l’Europa mostra differenze: in Francia o Germania la quota di accise resta alta come in Italia, ma i prezzi alla pompa reagiscono più rapidamente ai ribassi dei mercati. L’inerzia dei listini aggiunge oltre 100 euro l’anno di spesa carburante, calcola l’Unione Nazionale Consumatori. Le associazioni spingono per indagini e sanzioni, tuttavia lo spazio di manovra è ridotto. Finché il greggio non si stabilizza davvero e la filiera non accelera gli adeguamenti, il conto resta sempre a carico dei guidatori.

Chi sorveglia i listini

A ogni fiammata dei listini arrivano promesse di controlli. Il governo mobilita la Guardia di Finanza per verificare i prezzi esposti, mentre l’Antitrust apre fascicoli e raccoglie esposti per pratiche scorrette. Solo a fine giugno Codacons ha presentato un nuovo reclamo, puntando il dito sul divario tra Brent in calo e prezzi fermi alle pompe.

La filiera resta però un labirinto: produzione, raffinazione, stoccaggio, distribuzione. Dimostrare una speculazione diretta è quasi impossibile. Le compagnie difendono i margini, i benzinai scaricano sui fornitori, le associazioni di categoria respingono accuse di cartello. Così le indagini spesso si chiudono in un nulla di fatto: nel 2023 le verifiche GdF hanno prodotto decine di sanzioni locali, senza scalfire il meccanismo. Sul tavolo restano pochi strumenti: l’Osservaprezzi del MIMIT per monitorare i listini e i blitz a campione sui distributori. Per chi guida significa una sola cosa: arrangiarsi. Aspettare uno sconto automatico vuol dire pagare caro e a vuoto.

Il futuro dei prezzi

Le quotazioni del Brent e del WTI restano volatili. Gli analisti parlano di un barile in bilico tra 65 e 75 dollari almeno fino a fine estate, con possibili rimbalzi improvvisi se la tregua in Medio Oriente salta o se l’OPEC+ taglia di nuovo la produzione. Sul medio periodo, molti report indicano un prezzo tendenzialmente stabile sotto i 70 dollari, a meno di shock geopolitici o restrizioni sulle riserve strategiche.

Alla pompa, però, gli sconti automatici sembrano un miraggio. L’Italia mantiene uno dei carichi fiscali più pesanti in Europa, e senza interventi sulle accise i ribassi del greggio resteranno parziali. Le oscillazioni continueranno a pesare soprattutto nei mesi di picco — esodo estivo, ponti autunnali — quando la domanda interna spinge i margini dell’intera filiera. Gli aumenti scattano subito, gli sconti arrivano tardi. L’unico scudo resta controllare i listini e tagliare dove serve.

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