DETROIT – Il tweet di congratulazioni di Trump a Fca (anzi a FiatC, come ha scritto il futuro presidente) arriva al termine della conferenza stampa di Sergio Marchionne a Detroit. Il ceo di Fca ringrazia e spiega che la scelta di investire 1 miliardo di dollari in Michigan e Ohio “è stata fatta nell’interesse dell’America”.

Marchionne conosce le insidie contenute nel messaggio del nuovo presidente. Sa che non c’è azienda che possa farsi dettare le scelte di investimento dalla politica. Tantomeno da una politica populista che riduce il mondo al cortile di casa come se i 1.000 posti di lavoro in più creati da Ford in Michigan la scorsa settimana fossero più importanti dei 2.800 persi per quella scelta dagli operai messicani.

Marchionne spiega che “l’unico criterio è quello della profittabilità. Si può fare tutto, purché non ci si perda”. Il manager non va più in là ma su tutto aleggia il fantasma del 2009, quando due aziende americane, la Gm e la Chrysler, hanno dovuto dichiarare bancarotta perché per troppo tempo sono rimaste indifferenti alle logiche di mercato. Rischio molto alto se la politica adotta pratiche protezioniste.

Così Marchionne suggerisce di adottare un criterio relativamente semplice: quello del rapporto stretto tra luogo di produzione e mercati di vendita. Con una sola eccezione: quella delle auto alla forte identità nazionale. In sostanza si produce dove si vende ma la Jeep Grand Cherokee, tipica auto americana, si produrrà sempre e solo in America. È un discorso che riguarda anche l’Italia: per questo infatti sarà possibile realizzare le Alfa e le Maserati vendute in America negli stabilimenti italiani. Trump accetterà il criterio di Marchionne?