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Il motore «imballato» dell’economia italiana

Mar 31, 2018

L’Italia un caso anomalo fra i paesi sviluppati perch da circa un quarto di secolo il paese che registra i tassi di crescita pi bassi. La ragione, secondo la generalit degli economisti, deve farsi risalire alla difficolt di adeguare la pubblica amministrazione e la struttura produttiva alle sfide della globalizzazione, dell’innovazione tecnologica e della moneta unica. Questa anomalia, che alla lunga rischia di rendere insostenibile il debito pubblico, pu aiutare a comprendere perch le forze ‘anti sistema’, che pure hanno mietuto successi quasi ovunque in Occidente, siano risultate maggioritarie nelle ultime elezioni italiane. Aiuta anche a comprendere il dilemma di politica economica di fronte al quale si trova oggi il Paese.

Fatto 100 il 1995, il Pil pro capite dell’Italia oggi pari 106, il che significa che l’Italia praticamente ferma da quasi un quarto di secolo. Tutti gli altri paesi dell’Ocse hanno fatto meglio, compresa la disgraziatissima Grecia che sta a quota 116. L’Eurozona tolta l’Italia sta a quota 135, che corrisponde a una crescita media annua dell’1,4%, all’incirca uguale a quella degli Stati Uniti. Fra i maggiori paesi, il Giappone quello che dopo l’Italia cresciuto di meno, ma sta pur sempre a quota 121. Grazie a un drappello di imprese eccellenti e anche alle politiche seguite in questi anni, dal 2014 l’economia ha iniziato a riprendersi, ma l’Italia uno dei pochissimi paesi Ocse che non sono ancora riusciti a recuperare i livelli pre-crisi. A oggi il Pil pro capite si contratto dell’ 8,6% rispetto al 2007. Peggio di noi ha fatto solo la Grecia (-23%). Quasi tutti gli altri paesi hanno ampiamente superato i livelli pre-crisi. L’Eurozona al netto dell’Italia sta sopra di 5,0 punti percentuali, gli Stati Uniti di 6,4. In ciascuno degli anni fra il 2015 e il 2017, l’Italia ha registrato una crescita del Pil di circa 1 punto al di sotto degli altri paesi dell’Eurozona.

Questi dati spiegano perch la condizione sociale del Paese sia tanto problematica. Quando un paese non cresce per un periodo di tempo cos lungo, qualcuno migliora la propria condizione, ma molti altri la peggiorano. Di qui l’aumento dell’incidenza della povert e l’elevata disoccupazione. In Germania la disoccupazione era al 3,6% in gennaio, mentre in Italia all’11,1%. Il nesso fra la crisi economica e il successo dei partiti anti sistema non pu essere meccanico, ma evidente che questi stessi partiti hanno denunciato i tanti aspetti di una condizione sociale deteriorata e che questa stata la chiave del loro successo.

Questi partiti non sembrano comprendere tuttavia che ci che essi denunciano il risultato dell’anomalia italiana, che pu essere curata solo proseguendo sulla strada delle riforme intraprese. Non vero che la difficile condizione sociale sia la conseguenza di riforme cosiddette “neo-liberiste” che avrebbero aumentato le diseguaglianze e favorito i “soliti noti”. Al contrario, l’Italia uno dei pochi paesi in cui l’indice di diseguaglianza di Gini rimasto pressoch invariato (attorno al 33%) nell’ultimo quarto di secolo. E ancor pi significativo il fatto che la quota del lavoro sul valore aggiunto manifatturiero, diminuita in molti paesi, aumentata durante la crisi, ed tornata ai livelli record (70%) dei primi anni settanta.

E qui veniamo al dilemma, che rischia di diventare un dramma, dell’Italia di oggi. Secondo la maggioranza degli economisti e secondo i principali organismi internazionali, l’Italia soffre perch le riforme di questi anni non sono state sufficienti a rimettere in moto il motore imballato dell’economia, in parte perch non sono ancora riuscite a incidere sui nodi di fondo, in parte perch i loro effetti sono dilazionati nel tempo. Ma la percezione degli elettori — sicuramente di quelli che hanno votato per i partiti anti sistema ― esattamente agli antipodi. Secondo loro, all’origine dei guai non ci sono affatto le riforme mancate, ma semmai le riforme fatte, congiuntamente alle minacce derivanti dalla globalizzazione, dall’innovazione tecnologica e dall’immigrazione.

Probabilmente c’ un fondo di ragione anche in questa percezione. Il problema che l’Italia in mezzo ad un guado: sono stati toccati con mano i costi economici e sociali delle riforme, ma i risultati in termini di crescita del reddito, dell’occupazione e della qualit del lavoro sono ancora deboli. La tentazione di tornare indietro, o di chiudere all’Europa e alla globalizzazione, dunque fortissima, ma su questa strada la crisi si avviterebbe pericolosamente, la situazione sociale peggiorerebbe, la condizione dei conti pubblici diverrebbe ancora pi precaria.

Le ricette per superare l’anomalia italiana riducendo al tempo stesso il debito ci sono e sono, a grandi linee, quelle indicate in alcuni paper pubblicati il 16 marzo scorso dal Fondo Monetario Internazionale. Se non piacciono queste soluzioni, se ne trovino altre. Si riconosca per che il problema dell’Italia il motore imballato della sua economia e che il problema non pu essere certo affrontato peggiorando ancora la situazione debitoria dello Stato.

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