AGI – Come un film senza attori protagonisti, solo comparse. È il presepe di Greccio voluto da Francesco d’Assisi la notte di Natale del 1223, allestito in una grotta a due chilometri dal paese del Reatino, uno dei tesori del Lazio. Nella sua ricostruzione della Natività, il Poverello non ha voluto rappresentare i soggetti principali: il Bambinello, la Madonna e nemmeno san Giuseppe. C’erano soltanto il bue, l’asino e la mangiatoia col fieno. Una assoluta novità.
Già in precedenza, in altre chiese e anche all’estero il presepe era stato realizzato con sacerdoti-attori, magari ricordando le figure dell’Avvento su tavole dipinte da mostrare ai fedeli. Spettacoli veri e propri. E perfino appariscenti, visto che papa Innocenzo III decise di intervenire senza troppe cerimonie.
“Nel 1207 – scrive lo storico Franco Cardini nel libro ‘I Re Magi’ – una dura decretale (lettera papale contenente norme giuridiche, ndr) colpiva gli eccessi nelle chiese”. Lo studioso riporta pure il testo pontificio: “Avvengono nelle chiese stesse – osservava il papa – spettacoli teatrali, anche nei tre giorni di festa che seguono il Natale del Cristo… con oscene esaltazioni alla presenza del popolo”.
Ma allora, che senso ha il presepe di Greccio, perché è definito capostipite del genere?
“Fu una rivoluzione spirituale”, sintetizzava la medioevalista Chiara Frugoni (scomparsa nel 2022) nel “Presepe di san Francesco”.
“Francesco a Greccio – spiegava – affiderà alla propria straordinaria capacità oratoria, a una immagine mentale evocata in modo tanto incisivo da tradursi, almeno per uno degli astanti, in una visione che risarcisce il vuoto della mangiatoia”. Insomma, più una meditazione sul presepe che una esatta riproduzione della scena del 25 dicembre di duemila anni fa. Lei lo ha chiamato anche “presepe eucaristico”. Cioè: “Cristo bambino nella greppia è oggi l’ostia di sacrificio sull’altare”. I simboli si rincorrono.
In latino “praesepe” significa mangiatoia, quella che era a Greccio; mentre Betlemme vuol dire “casa del pane”. “È infatti Cristo stesso – continua Frugoni citando Gregorio Magno – che dice: ‘Io sono il pane vivo disceso dal cielo’”. Insomma, Gesù “cibo” della salvezza. I rimandi ci sono tutti: la mangiatoia, il nome del luogo natìo e l’altare come la particola della Messa.
Il bue e l’asino? La risposta la dà sempre la storica: “Il bue rappresenta gli ebrei, l’asino i pagani, il fieno l’ostia salutare… Ed ‘entrambi – chiarisce ancora prendendo in prestito sant’Agostino – vennero a un’unica mangiatoia e trovarono il cibo del Verbo’”.
Le metafore continuano. Quella notte del 1223 nessuno dei presenti vide il Bambino in carne e ossa. Però, si racconta un prodigio. A dire Messa era stato chiamato un sacerdote. Francesco, infatti, non poteva celebrarla: era e rimase un diacono, anche se nessun saggio sa dire “da chi avesse ricevuto gli ordini sacri” (“Francesco”, Alessandro Barbero). A un tratto, la persona alla quale il Serafico aveva chiesto di preparare il tutto – messer Giovanni di Greccio – ebbe una visione, raccontata, tra gli altri, dal francescano Bonaventura da Bagnoregio (“Francesco d’Assisi”, Henry Thode): il cavaliere “affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno”.
Ed ecco gli altri emblemi: “Le fasce che avvolgono il Bambino – sermonava il cistercense Aelredo di Rievaulx (1110-67) richiamato dalla medioevalista – sono il vino e il pane che ‘avvolgono’ la divinità di Cristo nell’eucarestia”.
Dunque, il presepe di Greccio sembra il punto di partenza di un viaggio interiore durante il quale sarà la fede dello spettatore a materializzare i grandi assenti sulla scena e a entrarci in contatto. In questo percorso si possono immaginare anche i re magi, “primi pagani ad avvicinare il Cristo”, riflette Cardini, le cui reliquie sono conservate in Germania, a Colonia, e in piccola parte a Milano. Oggi a Greccio, sul sito dove si svolse il presepe di Francesco è stata costruita una cappella e sul masso che servì da mangiatoia c’è un piccolo altare. La devozione continua.
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