• 31 Gennaio 2025 0:16

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Il giurista Visconti sul caso Almasri: “Meloni e Lo Voi sembrano i capponi di Renzo”

Gen 30, 2025

AGI – “La presidente del Consiglio e il procuratore di Roma mi sembrano i capponi di Renzo, si beccano tra loro mentre l’orgoglio nazionale e la tutela dei diritti umani stanno da tutt’altra parte. Rimango attonito da questa scena”: Costantino Visconti, giurista e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e Relazioni internazionali dell’Università di Palermo, cerca “una via d’uscita” a quello che appare come l’ennesimo capitolo della guerra tra politica e magistratura, questa volta innescato da una “catena di errori” che comincia con l’arrivo del generale libico Almasri in Italia.

 

“Da italiano e da democratico – dice all’Agi – sento uno scoramento molto forte, che non provavo da anni: mai ho visto una sequela di errori, talvolta in buona fede, da parte delle istituzioni repubblicane”.

 

Visconti li mette in fila questi errori, uno dopo l’altro, fin dall’arresto del criminale libico: “In questi casi, dovrebbe attivarsi la procedura speciale della legge del 2012, ovvero il ministro chiede alla Corte di Appello di Roma la convalida dell’arresto: questa cosa, come altre, non viene fatta. È un dato: ci sono un ministro della Giustizia esitante, nella migliore delle ipotesi, e una parte del governo che decide di espellere il generale. Le soluzioni – continua – potevano essere diverse, già a partire da una Corte di Appello, che avrebbe potuto interpretare la legge meno rigidamente e anche prescindendo da una valutazione del ministro, ma soprattutto il libico poteva anche non essere rimpatriato e nei suoi confronti si poteva adottare una normale procedura di restringimento di persona straniera pericolosa nel nostro territorio”.

 

Il tema su cui insiste il giurista palermitano, però, è un altro: “Le strade – dice all’Agi – potevano essere tante, per soddisfare in maniera decorosa due interessi configgenti, che sono: da un lato rispettare il Trattato di Roma, e vincoli internazionali che ci impongono di eseguire un mandato di arresto della Cpi, e dall’altro gestire le relazioni bilaterali con la Libia, un Paese che oggettivamente mette sotto ricatto la classe dirigente italiana da una decina di anni. C’è il tema del rispetto dei vincoli internazionali e c’è quello della salvaguardia dell’interesse nazionale: tutte le strade sarebbero state migliori da quelle che effettivamente percorse”.

 

“A questi errori – prosegue Visconti – si aggiunge il dialogo tra il procuratore di Roma, massima istituzione giudiziaria in Italia, e la presidente del Consiglio: escludo che Francesco Lo Voi avesse come unica strada quella di trasformare il ‘pizzino’ dell’avvocato Li Gotti in una comunicazione ai sensi della legge che regola la responsabilità penale dei ministri; escludo, anche, che Giorgia Meloni avesse come unica strada quella di utilizzare i social”.

 

Siamo in presenza di una coazione a ripetere nell’eterna guerra tra politica e magistratura? “Sì, è la logica del conflitto e della diffidenza – risponde – che non fa cooperare, come invece dovrebbero, i poteri e le autorità dello Stato secondo i principi della leale collaborazione: si naviga ognuno per proprio conto, e spesso ci si intralcia nel cammino. Cosi’ non reggiamo”.

 

Quanto alla fondatezza penale dell’iniziativa della procura di Roma, per Visconti “il reato di peculato è abnorme mentre si può configurare una tipicità astratta del favoreggiamento, ma nessuno al mondo potrà mai ipotizzare che un governo nell’esercizio delle sue funzioni realizzi gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di favoreggiamento”.

 

“Questa vicenda – conclude il giurista – ci fa male perché abbiamo liberato un criminale e compromesso in qualche modo la reputazione internazionale dell’Italia. Sono sicuro che la Meloni sia in buona fede quando dice che non si fa ricattare, ma il ricatto libico esiste, da anni. Se dobbiamo fare una lotta ai trafficanti di uomini e, al tempo stesso, realizzare il controllo dei flussi migratori, questi giusti obiettivi non devono diventare un’ossessione: sono temi politici, non delle aule di giustizia, e devono tornare in Parlamento, da dove sono usciti”. 

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