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Il formidabile Ferrari a 12 cilindri contrapposti

Dic 20, 2016
Il formidabile Ferrari a 12 cilindri contrapposti

L’era dei motori aspirati di 3000 cm3, che in Formula Uno ha preceduto la famosa “epoca Turbo” degli anni Ottanta, è stata dominata dal Cosworth DFV. Se si eccettuano le prime due stagioni, nelle quali a vincere è stato il motore Repco (del quale ci siamo già occupati), tra il 1968 e il 1982 con il V8 inglese sono stati conquistati 12 titoli mondiali piloti.

Gli altri tre sono stati appannaggio del Ferrari 312, che è stato in effetti l’unico motore in grado di contrastare e spesso anche di battere il Cosworth.

Quest’ultimo aveva meno cavalli ma era più compatto rispetto ai motori a dodici cilindri (questo costituisce un vantaggio non indifferente, quando si tratta di realizzare una monoposto da competizione). Inoltre aveva un consumo più basso e ciò permetteva di impiegare serbatoi più piccoli; la vettura poteva cioè partire portandosi dietro una quantità sensibilmente minore di carburante.

La sezione del motore Ferrari a dodici cilindri contrapposti di Formula Uno. Si possono tra l’altro notare il ridotto angolo tra le valvole (solo 20°), le canne dei cilindri riportate, con la parte superiore “umida”. (Immagine da rivista ATA)

Negli anni iniziali della nuova Formula Uno di 3 litri la casa modenese incontrava diverse difficoltà. Schierava un motore con dodici cilindri a V che inizialmente (1966) aveva due valvole per cilindro ma che quasi subito è stato dotato di teste a tre valvole. Il comando della distribuzione era a catena e la potenza era dell’ordine di 380 – 390 CV a 10.000 giri/min. L’alesaggio era di 77 mm e la corsa di 53,5 mm. Nel corso del 1967 apparivano le teste a quattro valvole per cilindro e rapidamente la potenza passò a circa 410 CV, per raggiungere i 430 nel 1969. A tal punto era chiaro che per riportarsi in posizioni di vertice occorreva un motore completamente nuovo.

L’ing. Forghieri pertanto progettò un 12 cilindri che presentava diverse soluzioni inconsuete e che aveva una architettura in grado di portare il baricentro il più possibile vicino al suolo. I cilindri infatti erano orizzontali e contrapposti; non si trattava di un motore boxer, ma di un V di 180°. L’albero a gomiti infatti aveva sei perni di manovella, su ciascuno dei quali venivano montate due bielle, e non dodici. Il basamento era costituito da due parti simmetriche (cioè due “semibasamenti”) che si univano secondo un piano mediano verticale che tagliava a metà i supporti di banco.

Niki Lauda vince il Gran Premio di Monaco 1975 sulla 312 T. Dopo undici anni di attesa la Ferrari quell’anno torna a brindare con la doppietta nei Campionati Piloti e Costruttori. Lauda conquista 5 vittorie (Monaco, Belgio, Svezia, Francia e USA), mentre Clay Regazzoni trionfa a Monza nel giorno in cui l’austriaco si laurea campione

I cilindri erano del tipo con canne riportate; queste ultime per i 28 mm superiori avevano uno spessore maggiore ed erano a diretto contatto col liquido di raffreddamento mentre per la parte rimanente erano a secco, in quanto inserite con lieve forzamento nei loro alloggiamenti praticati nella bancata.

I supporti di banco erano solo quattro (e non sette, come vuole la soluzione convenzionale, per i V12) ed erano muniti di cuscinetti a rotolamento. La soluzione consentiva di ridurre le perdite per attrito e di minimizzare la quantità di olio presente nelle camere di manovella durante il funzionamento del motore. Era però necessario impiegare un albero composito. Le prime prove avevano messo in evidenza seri problemi di affidabilità e pertanto Forghieri decise di impiegare un albero in un sol pezzo e di dotare di bronzine i due supporti di banco centrali. L’anteriore e il posteriore continuavano ad essere muniti di cuscinetti a rulli, con gli anelli esterni in un sol pezzo, che potevano essere semplicemente inseriti sulle estremità anteriore e posteriore dell’albero.

Foto di una biella in lega di titanio della 312. Lo spinotto ha un diametro di 18 mm e l’interasse testa-piede è sensibilmente superiore al doppio della corsa

Le bielle di questo motore, realizzato in più versioni e oggetto di un continuo lavoro di sviluppo, erano state realizzate con lunghezze di 110 e di 112 mm, tanto in acciaio quanto in titanio (la maggior parte).

I pistoni, forgiati in lega di alluminio, inizialmente avevano il mantello con due sfiancature all’esterno delle portate per lo spinotto, ma in seguito diventarono ad H. Nelle ultime versioni avevano una altezza pari al 67 % del diametro.

I due alberi a camme alloggiati in ogni testa venivano azionati da due cascate di ingranaggi poste nella parte posteriore del motore. L’angolo tra le valvole (quelle di aspirazione erano da 31 mm e quelle di scarico da 27 mm) era di soli 20°, il che consentiva di realizzare camere di combustione notevolmente compatte.

Il sistema di lubrificazione era a carter secco, con pompa di mandata di notevole portata. L’olio destinato ai cuscinetti di biella entrava nell’albero per mezzo di canalizzazioni assiali. Le pompe di recupero erano tre (una per ogni camera di manovella); ad esse se ne aggiungevano due, molto più piccole, che provvedevano ad aspirare l’olio da ciascuna testa.

Pistone ad “H” di una delle ultime versioni della 312T a confronto con quello di una vettura di serie dell’epoca, a mantello intero. Si notano chiaramente gli incavi in corrispondenza dei funghi delle valvole. Il disegno è molto evoluto per la sua epoca

Inizialmente le misure caratteristiche di questo motore, contraddistinto dalla sigla 312B, erano 78,5 x 51,5 mm, ma l’alesaggio passò rapidamente a 80 mm e la corsa a 49,6 mm. In quanto alle prestazioni, aumentarono considerevolmente nel corso degli anni. Nel 1970 la potenza era dell’ordine di 460 CV a poco meno di 12000 giri/min; tre anni dopo crebbe a 485 a 12200 giri/min e nel 1975, con la versione 312 T a 495 CV. Nel 1980 i cavalli erano circa 520 a un regime di 12300 giri/min.

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