Qualche tempo fa, mi sono occupato su queste pagine delle disparità nel trattamento medico di uomini e donne, che parte dallo sviluppare terapie adattate per i maschi fin dagli studi preclinici, per ragioni storiche ed economiche.
Ora, un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista Brain dimostra quanto sia efficace un’indagine che bilanci bene i sessi negli studi di biomedicina, illustrando allo stesso tempo quanto sia ampio il divario da colmare in tema di salute e quanto sia possibile riscrivere anche le nozioni di base della biologia molecolare, se appena si sta attenti alle potenziali disparità fra i due generi. Lo studio in questione si è concentrato su uno dei bersagli terapeutici in assoluto più importanti: il dolore.
I ricercatori si sono in particolare dedicati alla ricerca di eventuali differenze nei meccanismi di base che portano alla sensazione dolorosa, concentrandosi sull’eccitabilità dei nocicettori delle cellule situate vicino al midollo spinale nel ganglio della radice dorsale. I nocicettori, quando attivati da un danno o da uno dei segnali alla base della percezione dolorosa, inviano uno stimolo al cervello attraverso il midollo spinale; è questo stimolo ad essere tradotto in sensazione dolorosa, in proporzione all’intensità del fattore scatenante iniziale. I farmaci antidolorifici attualmente in uso, come gli antinfiammatori non steroidei (ad esempio l’ibuprofene), funzionano innalzando la soglia di attivazione dei nocicettori, bloccando così il dolore prodotto da stimoli a bassa intensità nei casi di percezione eccessiva del dolore o comunque nei casi in cui si vuole calmare la sensazione.
Ora, è noto che alcuni ormoni legati a risposte fisiologiche molto varie possono modulare la soglia di risposta dei nocicettori; fra questi ormoni, si annoverano la prolattina, implicata nella lattazione, e l’orexina B, coinvolta nella veglia. Testando questi ormoni sia in tessuti animali che umani, gli autori dello studio appena pubblicato hanno fatto una scoperta molto interessante: la prolattina sensibilizza allo stimolo doloroso solo le cellule femminili e non quelle maschili, e l’orexina B sensibilizza solo le cellule maschili e non quelle femminili. Facendo un ulteriore passo avanti, hanno poi bloccato la segnalazione della prolattina e dell’orexina B ed esaminato l’effetto sulla soglia di attivazione dei nocicettori. Come previsto, il blocco della segnalazione della prolattina ha ridotto l’attivazione dei nocicettori nelle femmine e non ha avuto effetti nei maschi, mentre il blocco della segnalazione dell’orexina B è stato efficace nei maschi e non nelle femmine.
I risultati suggeriscono un nuovo modo di affrontare il trattamento delle condizioni dolorose, molte delle quali sono prevalenti nelle donne. L’emicrania e la fibromialgia, ad esempio, hanno rapporti femmina-maschio di 3:1 e 8 o 9:1, rispettivamente. A questo dimorfismo nelle condizioni dolorose corrisponde il dimorfismo nella modulazione dei nocicettori che i ricercatori hanno appena determinato: si potrebbe per esempio prevenire la sensibilizzazione dei nocicettori indotta dalla prolattina nelle femmine, mentre diminuire la sensibilizzazione indotta dall’orexina B potrebbe migliorare il trattamento delle condizioni dolorose associate all’attivazione dei nocicettori nei maschi. Allo stesso tempo, i risultati illustrano una possibile spiegazione del perché molte condizioni dolorose maggiormente frequenti nelle donne sono rimaste prive di trattamenti specifici con efficacia significativa: la ricerca, sviluppata su modelli maschili, ha semplicemente “mancato” i bersagli giusti, nell’erronea assunzione che i meccanismi di modulazione del dolore fossero gli stessi fra i due sessi, vista l’identità dei nocicettori.
Alla luce dei nuovi risultati, siamo costretti a concludere che esiste una modulazione del dolore dimorfica fra i sessi, e chissà quanti potrebbero essere gli ulteriori meccanismi di modulazione non ancora considerati nello studio presente, che differiscono significativamente fra uomini e donne; qui, tuttavia, mi interessa soprattutto sottolineare come, aprendo finalmente gli occhi sull’esistenza di possibili differenze e dedicando un po’ di tempo alla loro indagine, la salute femminile potrebbe ricavare grandi benefici molto al di fuori dell’ambito ginecologico, in cui la disparità sessuale è ovviamente da sempre ben considerata.
Per fortuna, i ricercatori e soprattutto le ricercatrici stanno cominciando a dedicare tempo e risorse a questo ambito che arricchirà le nostre conoscenze in modo imprevisto e, soprattutto, porterà sollievo alle vittime di molte condizioni ritenute di difficile trattamento oppure di esagerata percezione da parte del genere finora più trascurato.