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Il delicato rebus dell’eredità della Delfin di Del Vecchio

Giu 27, 2022

AGI – Con la morte di Leonardo Del Vecchio, parte la corsa alla successione di un impero da circa 30 miliardi di dollari. Come molti imprenditori italiani anziani, secondo i critici, Del Vecchio che possedeva a suo nome il 25% della Delfin, la società che detiene tutte le sue partecipazioni azionarie e la liquidità – tra cui una quota del 32,2% in EssilorLuxottica, del 26% nell’immobiliare Covivio, del 19,2% in Mediobanca, del 9,82% in Generali e dell’1,9% in Unicredit – ha faticato in vita a staccarsi dalla gestione del suo patrimonio, mantenendo fino alla morte il suo controllo e rendendo cosi’ difficile la designazione di un erede.

Oltre al 25% in Delfin, Del Vecchio possedeva diritto di usufrutto e quindi di voto per il restante 75% del capitale. Ora la proprietà della finanziaria verrà equamente divisa fra i sei figli – Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente – tutti con quote paritetiche del 12,5% mentre il 25% spetta alla moglie Nicoletta Zampillo.

Alcune modifiche statutarie apportate proprio recentemente dallo stesso Del Vecchio aprono però un vero e proprio rebus in quanto attribuiscono al al fondatore di Luxottica la facoltà di indicare con atto scritto il suo successore. Ciò vuol dire che potrebbe essere anche un membro esterno alla famiglia. E qui si aprono diversi scenari. Secondo i bene informati, a prendere le redini dell’impero sarà comunque il suo erede naturale, il figlio minore Claudio Maria, classe 1995, dal 2018 amministratore delegato della Salmoiraghi e Viganò.

Ma sembra che abbia più chance Francesco Milleri, manager e consulente molto vicino a Del Vecchio che lo ha sostenuto nella sua ascesa ad amministratore delegato di EssilorLuxottica e cui spetterebbe l’ardua impresa di superare la soglia del 20% in Mediobanca (che era l’obiettivo di Leonardo, il quale però ha dovuto fare i conti con il diktat della Bce).

Lo statuto della finanziaria Delfin prevede però che tutti i soci debbano trovarsi concordi nelle scelte importanti, dato che serve l’accordo quasi totale (oltre l’88% delle quote) per le deliberazioni. Insomma, Del Vecchio aveva voluto garantire la collegialità delle decisioni ma era da sempre contrario al coinvolgimento dei familiari nella guida del suo impero, Del Vecchio spiegava: “A mio parere i figli non devono avere responsabilità apicali in azienda e non devono sedere in cda. La ragione è molto semplice, un manager lo puoi licenziare, anche se costa parecchio, un figlio no”.

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