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Vorremmo dirvi che è come una normale influenza o poco più. Vorremmo dirvi di continuare a fare la stessa vita di sempre, magari copritevi ché fa freddo, mettetevi le galosce. Vorremo dirvi che, come Milano, pure l’Italia non si ferma, che di giorno bisogna difendere a tutti i costi la produttività e di notte il nostro diritto a divertirci e socializzare, lasciando il virus ai virologi. Vorremmo, ma sarebbe da irresponsabili al pari di alimentare la psicosi.
Il panico suona bene solo nelle canzoni degli Smiths e di Anastasio: il coronavirus passerà, ne siamo certi, ma è una cosa seria. Non sappiamo quando se ne andrà, ma finché non se ne sarà andato, occorre tanta prudenza e senso di responsabilità. Per sé stessi e per i propri cari.
La voce del buonsenso
La voce del buonsenso potrà forse avere un suono banale, ma in certe circostanze è l’unica cui bisogna prestare ascolto. Semplice quanto efficace, per esempio, l’appello lanciato dal governatore campano Vincenzo De Luca che indirizza un fermo invito alla «responsabilità» dei propri concittadini chiamati a limitare al massimo la vita sociale, perché il coronavirus è «un problema serio». Fermezza e semplicità sarebbero servite a tutti i livelli, sin dal primo giorno di questa emergenza.
Dalla movida allo psicodramma
E invece siamo passati dallo psicodramma collettivo, alla sbornia minimizzatrice dell’hashtag #milanononsiferma, ancora alle nuove crisi di panico di fronte all’accelerazione dei contagi. Dovremmo ascoltare lo Stato che dovrebbe ascoltare la scienza. E Stato e scienza, insieme, dovrebbero trovare una sintesi piuttosto che mettere in scena duelli tra cattedratici a chi c’ha il curriculum più lungo. Muoversi in ordine sparso non aiuta nessuno, dall’aperitivo in movida al tampone positivo, dalla partitella a bocce al ricovero il passo può essere più breve di quello che si pensa.
Non facciamo come don Ferrante
Non drammatizziamo, ma al tempo stesso evitiamo di fare i fenomeni. Siamo sopravvissuti alla peste nera e alla spagnola, supereremo pure il Covid-19, ma occhio a sottovalutarlo perché la scienza ancora non lo conosce a fondo e, quindi, non ha gli strumenti per prevenirlo e curarlo. Non facciamo come don Ferrante, l’intellettuale dei Promessi sposi che alzò le spalle di fronte alle credenze dei suoi contemporanei, «non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle». E quindi usciremo a riveder le stelle.