L’hanno chiamato “Viva” e non è un caso. Non è solo un bistrot quello aperto da una cooperativa di donne vittime di violenze coniugali in via de Marinis 9 a Poggiomarino. È la strada verso il riscatto. È una nuova vita.
Le tre donne che ora si preparano al taglio del nastro del loro locale, dando quel nome alla loro iniziativa vogliono fortemente significare che sono vive e reattive, nonostante i maltrattamenti subiti per anni da compagni, mariti e fidanzati. Sono vive e coraggiose Antonella, Raffaela e Maria perché hanno avuto la forza di creare prima la cooperativa Viola e poi hanno aperto un’impresa, senza conoscersi nemmeno.
Sono stati i loro avvocati a metterle in contatto e a convincerle. «Le donne come noi non hanno amiche – dice Maria Sorrentino, 33 anni – non abbiamo nulla. Da anni non parlo con nessuno, non esco di casa, non riesco nemmeno ad accompagnare i miei due figli a scuola. Mio marito mi segue ovunque, nonostante il divieto di avvicinamento. Ma ora voglio essere più forte di lui. Anche se ho paura di uscire, sono contenta di andare a lavorare e i miei figli sono più felici di me per questo. Affronterò le mie paure per uscire da quest’incubo».
Nemmeno un mese fa, Maria ha rischiato di essere bruciata viva dal marito. «E’ salito con uno stratagemma a casa dei miei genitori dove ora vivo – racconta – mi ha cosparso di alcool e io, per istinto ho pensato di correre sul balcone. Pensavo: “Ora mi dà fuoco davanti ai bambini” e gridavo: “Che fai? Mi vuoi bruciare?”. Mio cugino ha sentito le urla e mi ha salvato».
La via d’uscita verso la libertà è una sala con 12 tavoli e 36 posti, una cucina in acciaio per preparare e offrire colazione, pranzo, cena. Hanno lottato per vivere e ora affrontano l’incognita di un’attività nuova, Queste donne hanno sorrisi timidi e tante lacrime. Come se ora, finalmente, potessero piangere tutto in una volta quel dolore. Trema la voce mentre raccontano gli orrori vissuti da loro, spose bambine e dai figli, piccoli coraggiosi che hanno provato a difenderle.
Antonella Cangianiello è presidente della cooperativa, 39 anni, due figli Erika 12 e Giuseppe, 10. Una vita durissima, un coraggio da leone nonostante 17 anni di violenze subìte da un marito alcolizzato.
«Mi sento strana – sorride con uno sguardo tenero – mi piace tutto qui, a cominciare dalla mia divisa, la trovo bellissima, femminile. Ora sento di avere una dignità di donna e di persona». Antonella ha lavorato come carrozziere, falegname, operaio in un autolavaggio, addetto al confezionamento delle verdure in fabbrica. Sgobba come un capofamiglia da sempre ma non ha mai un soldo in tasca. Né per lei né per i figli.
Suo marito, nullafacente, racconta, le ha rubato tutto. A Reggio Emilia, dove hanno vissuto per 5 anni, Antonella è stata costretta a chiedere l’elemosina in strada, a mendicare latte e pane dai vicini. «Lavoravo 12 ore al giorno per 33 euro. Una miseria – ricorda – e una notte lui mi stava ammazzando per 20 euro nascosti nella mia camicia da notte. Un giorno i miei figli mi hanno detto: “Mamma, non ce la facciamo più”. E io ho capito che era il momento per scappare. Loro sono la mia forza».
Così torna a Poggiomarino. Ma l’inferno peggiora, se possibile. «Dopo l’ennesima lite mi ha riempito di botte, ero sanguinante, piena di lividi, sono scappata in pantofole e pigiama alle due di notte, assieme ai miei bambini». Li salva uno spazzino, aiuta Antonella a chiamare suo fratello. «Ora ho una casa minuscola, la casa dei Puffi come la chiamo io, ma almeno sono indipendente. Sono contenta, ho un lavoro più decente, sono finalmente vestita da donna. È una vittoria per me e la devo tutta ai miei figli. E questo lavoro mi dà coraggio. Mia figlia ha bisogno dello psicologo, ha 12 anni e pesa troppo, soffre molto. Ha vissuto tutto il mio calvario, ricorda tutto, ha visto le violenze. Suo padre ritornava a casa ubriaco e urinava nella culla. Mi raccomandavo la sera di chiudersi a chiave in camera ma i miei figli uscivano sempre, venivano a difendermi».
I due legali Rosita Pepe e Grazia Acanfora sono la loro ancora di salvezza. Le assistono nelle aule di tribunale e le accompagnano nell’impresa. Non sono le sole. La LegaCoop ha sposato da subito la proposta, CoopFond ha creduto nella cooperativa Viola e ha finanziato l’attività con 25 mila euro. «L’investimento è cresciuto, siamo piene di debiti ma se tornassimo indietro lo rifaremmo subito –afferma l’avvocato Pepe, presidente dell’associazione di volontariato Artemide, che collabora con lo sportello antiviolenza del Comune, è anche una delle componenti della cooperativa – Da anni parliamo con donne che vogliono denunciare il marito violento ma non hanno soldi, né una casa dove andare, nemmeno un euro sul cellulare. Le donne vittime di violenza spesso non hanno professionalità, non lavorano o hanno smesso prestissimo proprio a causa delle minacce dei compagni. Non è facile trovare un impiego per loro».
«Questo è il mio primo lavoro in assoluto – racconta Raffaela Caracciolo, 24 anni, un bimbo, Angelo di 2 – avevo tanti sogni, mi sono laureata alla Federico II in Economia. Invece ho nascosto per troppo tempo anche a me stessa la dura realtà. Mi dicevo che le cose sarebbero migliorate, giustificavo sempre il mio ex compagno, mio unico fidanzato».
E invece, ingiurie, percosse, Raffaela non può nemmeno uscire a stendere il bucato. Il suo compagno vede amanti immaginari dappertutto. «Ora riprendo finalmente in mano la mia vita – sorride – aumenta anche la mia autostima che lui ha praticamente ridotto a zero. Paura? Certo, ne ho. Ma qui siamo tutte donne con lo stesso problema e questo dà una carica in più. Ci faremo forza assieme. Prima non avevo coraggio. Ora invece esco dalla mia paura e ritorno a vivere. Qui mi sento protetta». Una speranza per rinascere, quattro mura per il loro riscatto sul corso principale della cittadina.
«Il Dna delle imprese cooperative attente alla dignità della persona e all’inclusione – afferma Dora Iacobelli, direttrice Coopfond e vice presidente nazionale Legacoop con delega alle Pari Opportunità – è naturalmente prestato ad affrontare il tema del contrasto alla violenza sulle donne. Non si tratta solo di inserimento lavorativo ma di creazione di percorsi di prevenzione, di formazione, di accoglienza».
«Una bella storia di solidarietà tra donne che non vanno lasciate sole – spiega Mario Catalano, presidente Legacoop Campania – Questa cooperativa rappresenta lo spirito vero della cooperazione che riesce a dare lavoro e speranza. Queste donne hanno mostrato, con la loro forza una strada per l’autonomia ed il riscatto contro la violenza». Ovunque, nel bistrot “Viva”, l’invito è a scappare via, spiccare il volo, lontano dalla violenza.
Ci sono farfalle dappertutto. C’è il 1522, numero dell’antiviolenza scritto ovunque, perfino sulle porte dei bagni. C’è la parete con le fotografie di donne simbolo dell’emancipazione: Frida Kahlo, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Nilde Iotti. E ci sono loro, Antonella,
Raffaela e Maria, con il coraggio di raccontare l’inferno a volto scoperto. Hanno voluto una frase di Seneca sulla parete d’ingresso del locale. Parole scritte a caratteri cubitali: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”. È la loro lezione di vita. «Ci ricorda chi siamo, l’abbiamo scelta perché abbiamo scalato le montagne. E chi entra qui lo deve sapere»