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“Il capo dell’Oms sapeva tutto del report ritirato”, sostiene Zambon

Mag 12, 2021

AGI  In un’anticipazione all’AGI  del suo libro ‘Il Pesce Piccolo’ in uscita per Feltrinelli, l’ex funzionario dell’Oms di Venezia Francesco Zambon chiama in causa in modo diretto ed esplicito Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore dell’organizzazione, in merito al rapporto sulle falle nella gestione della pandemia in Italia pubblicato e poi sparito dal sito dell’agenzia dell’Onu il 14 maggio 2020.

“Tutti sapevano nella torre di diamante”

“Nella torre di diamante, erano in molti a sapere della pubblicazione, con tutto quel balletto di email sull’approvazione promessa poi trattenuta poi data da Soumaya, la Chief Scientist che Guerra chiamava per nome. E poi con l’incidente diplomatico creato ad hoc con successive telefonate Roma-Copenaghen – Ginevra. E Tedros? Tedros sapeva tutto”.

Il brano fa parte del capitolo intitolato ‘Non fu la Cina’ in cui Zambon, che si è dimesso dall’organizzazione in seguito a questa vicenda, smentisce quanto sostenuto dal direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra nella memoria consegnata attraverso il suo legale alla Procura di Bergamo. In essa, come riportato da Associated Press e Repubblica, si attribuiscono le principali responsabilità del ritiro del report alla Cina.

Per Zambon, la vera responsabilità va cercata all’interno dell’Oms, in particolare nella sede di Copenaghen, mentre la questione della Cina, che pure anche lui riferisce essere stata irritata dalla parte del report che la riguardava, sarebbe stata “utilizzata come specchietto per le allodole dall’ufficio stampa dell’Oms e da Guerra “sette mesi dopo i fatti”.

Nella sua dettagliata ricostruzione, Zambon scrive che, dopo un primo ritiro del rapporto dal sito mentre sembrava ancora possibile la sua ripubblicazione, il colpo definitivo venne assestato “non da Pechino, non da Roma ma da Copenaghen”. Accadde alle “ore  13 (ventisei minuti dopo il ritiro)” di quel 14 maggio “come un fulmine a ciel sereno”.

“Copenaghen mi tolse la facoltà di rimettere online la pubblicazione perché bisognava sistemare ‘un paio di altre cose’. Solo HK (Hans Kluge, direttore generale dell’Oms Europa, ndr) , si precisava, poteva dare l’ordine di rimettere il rapporto online. Quindi non fu colpa della Cina. I motivi dell’abbattimento, questa volta definitivo, della pubblicazione del rapporto andavano dunque ricercati altrove”. 

“A Roma scoppiò l’incendio”

Nel libro,  Zambon racconta i momenti successivi alla pubblicazione del report  intitolato Una sfida senza precedenti: la prima risposta dell’Italia al Covid -19′.

“Dopo il lancio del rapporto ricevetti dozzine di mail di complimenti – scrive l’ex funzionario della sede di Venezia -. Molti messaggi erano di autentica riconoscenza per aver fornito qualcosa di cui c’era davvero bisogno. Per una volta l’Oms era riuscita a produrre un documento esattamente quando serviva. Alcuni messaggi erano di incredulità per il fatto che fossimo riusciti a completare il lavoro in così breve tempo. Tutti messaggi positivi anzi entusiastici. Tranne due. Uno di Guerra (Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Oms, ndr) e l’altro della Stilista (così Zambon soprannomina Cristiana Salvi, responsabile della comunicazione di Oms Europa, ndr). Mentre Venezia riceveva e mandava messaggi di ringraziamento, stima, reciproco supporto, riconoscenza, a Roma era scoppiato l’incendio. C’era un certo disappunto da parte dell’Istituto della Sanità e del ministro. Avevo ancora in testa le frasi scritte solo qualche ora prima da Guerra sulla foglia di fico, sulla triplice alleanza Tedros- Guerra- Speranza, sulla possibile delusione del Governo, sulle critiche da denudare. E pensavo anche a quello che avevo detto alla Stilista, che eventuali bombe mediatiche sarebbero esplose solo se qualcuno le avesse innescate”.

I riferimenti sono a quanto scritto in una mail da Guerra a Zambon poche ore prima  (“Uno degli atout di Speranza è sempre stato il poter riferirsi a Oms come consapevole foglia di fico per certe decisioni impopolari e criticate”) e ai commenti di Cristiana Salvi ad alcuni passaggi del report definiti possibili “bombe mediatiche”. “Come poteva esserci disappunto alle nove della mattina se la pubblicazione era stata messa online solo qualche ora prima, con la notte in mezzo?. – prosegue la narrazione di Zambon di quel 14 maggio 2020 -. Era lampante che non poteva essere sui contenuti, non trattandosi di un romanzo rosa, una pubblicazione di 102 pagine richiedeva un certo tempo per essere letta. Alle 9 e 19 telefonai a Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore della Sanità. Lo conosco da anni, c’è sempre stata stima reciproca e volevo avere notizie di prima mano. Pensavo avesse chiamato lui HK (Hans Kluge, direttore europeo di Oms, ndr) ma mi sbagliavo. Mi disse di avere telefonato a Guerra e che Speranza non sapeva niente della pubblicazione. Questo confermava l’idea che avevo già dalla sera prima: Guerra non aveva fatto quello che avrebbe dovuto, ovvero mettere al corrente il ministro. La cosa, pensai, non era grave. Informare il ministro era necessario, ma in fondo si trattava di una cortesia istituzionale. Condividere il testo finale per un suo placet avrebbe minato l’attendibilità del rapporto e, prima ancora, l’indipendenza stessa dell’Oms, soprattutto in quelle settimane critiche, quando veniva accusata proprio su questo punto. Lo stesso ministro aveva dichiarato in quei giorni di volere una Oms indipendente e trasparente. Poteva un ministro essere risentito per un rapporto indipendente e trasparente che, in realtà, gli dava lustro? Brusaferro continuò dicendo che non aveva nulla da dire sui contenuti, che non aveva ancora letto, piuttosto che era stupito che nessuno, nelle istituzioni italiane, fosse informato della pubblicazione. Gli spiegai, e subito dopo gli mandai la prova via mail, che la cosa non sarebbe dovuta accadere perché Guerra aveva proprio questo compito e aveva ricevuto tutto il materiale per informare chi di dovere precisamente un mese prima. 

La versione di Oms è che «il documento fu rimosso per una decisione interna» dell’organizzazione «perché conteneva alcune inesattezze sulla cronologia della pandemia». Un rilievo, questo, di cui Zambon parla anche nel libro quando scrive che lo chiamò il capo ufficio di Pechino spiegandogli che il report conteneva delle informazioni sulla cronologia che avrebbero potuto creare problemi al suo Paese

“L’amicizia poteva prevalere sul mandato di salvare le vite?”

Nel frattempo anche HK si agitò, o fu messo in agitazione. In un’email – anch’essa ormai pubblica – disse che la sua relazione col ministro era compromessa perché Speranza e l’Istituto Superiore della Sanità si erano sentiti pugnalati alle spalle da amici. Addirittura! Un rapporto istituzionale è…un’amicizia? E, anche se fosse, prevale una relazione amicale sul mandato dell’Oms, quello di salvare vite?”.  “Rimasi sbigottito – va avanti Zambon –  quanto alle parole della sera prima di Guerra in merito alla sensibilità del ministro e alla triplice alleanza. Dell’incidente diplomatico era già stato informato anche il grande capo Tedros, Doveva essere propria una cosa grossa se -in piena pandemia- il direttore generale dell’Oms ne era stato messo a conoscenza con tanta sollecitudine. Insomma nel giro di poche ore la cosa aveva assunto dimensioni enormi e aveva toccato tutti i vertici. Le linee telefoniche erano molto calde: chiamate multiple tra Venezia e Copenaghen, tra HK e Speranza, tra HK e il capo di gabinetto, tra HK e Tedros, e sicuramente tra Guerra e varie persone”. 

La scelta di pubblicare e poi ritirare quel documento – ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza in Senato – viene assunta esclusivamente dall’Oms, nella sua piena autonomia che noi rispettiamo, anche nelle sue diverse articolazioni, e nel dibattito interno che con evidenza vi è stato a questo proposito tra dirigenti dell’Oms in palese contrasto tra loro».

La `difesa’ di Guerra alle accuse di Zambon che gli ha attribuito pressioni illegittime per togliere il report sia all’interno dell’organizzazione sia nella sua testimonianza ai pm di Bergamo è che il dossier «venne ritirato per decisione dell’ufficio di Copenhagen, mentre io proposi di salvarlo auspicando che due colleghi dell’Istituto Superiore della Sanità si affiancassero ai colleghi di Venezia per correggere le imperfezioni e ripubblicare il Rapporto così migliorato nel giro di un paio di giorni

La chiamata da Pechino, ‘ritirate tutto’

Zambon rivela anche di essere stato chiamato il 14 maggio 2020 “alle 12:11” dal “capo dell’Oms di Pechino, persona stimatissimo che conoscevo bene” che gli chiese di ritirare “immediatamente la pubblicazione’. “In buona sintesi diceva che il box sulla Cina (anche in questo caso, come per il piano pandemico, si trattava di poco più di dieci righe) conteneva delle informazioni sulla cronologia della pandemia che avrebbero causato enormi problemi di ordine pubblico soprattutto con gli Stati Uniti. Cosa c’era di tanto grave nel testo della Cina da scatenare una reazione così violenta da Pechino? Reazione, vorrei sottolineare, interna all’Oms, che voleva coprirsi – verbo ricorrente in questa storia – le spalle. Dubito che qualcuno del governo cinese avesse visto il rapporto nelle sue poche ore di vita”.

La cronologia della pandemia, così come ricostruita nel report, spiega il ricercatore, era basata “su quattro voci bibliografiche dell’Oms”. “Grave fidarsi della propria organizzazione!”, ironizza Zambon. “La cronologia della pandemia – si legge nel libro – era stata rivista dall’Oms il 27 aprile, proprio i giorni in cui stavamo scrivendo il tetso. La vera sorpresa sta nel fatto che le date e i contenuti erano sostanzialmente diversi tra una cronologia e l’altra. Cambiava persino il giorno in cui venne data l’allerta ai focal point nei vari Paesi. Chiaramente c’erano implicazioni politiche enormi poiché ‘spostare’ il giorno in cui veniva dato l’alert al mondo sollevava l’organizzazione dall’accusa di essere stata troppo lenta. Dove stava la verità? Questione a tutt’oggi irrisolta”.

Zambon spiega la ragione per cui lui e gli altri autori decisero di togliere il box: “Ritenemmo che quei paragrafi non fossero rilevanti ai fini della storia italiana e, date l’incertezza e la politicizzazione dell’argomento, decidemmo di tagliare la tetsa al toro, togliendo interamente il box”. Zambon racconta che “mentre stavo cercando di risolvere questo problema” arrivò la telefonata da Copenaghen da lui ritenuto il momento di svolta per il ritiro definitivo del rapporto.  

 

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