MILANO – Non inceppare il meccanismo di innalzamento dell’età pensionabile per non scaricare sulle generazioni future il conto di una misura che sa tanto di campagna elettorale. Più azioni strutturali e meno bonus, come quello per i diciottenni o per i bebè “che non risolvono certo il problema della fertilità in Italia, per quanto facciano piacere a chi li riceve”. Più coraggio nello sforzo di migliorare il saldo primario del bilancio pubblico e nel riprendere le fila di quella revisione della spesa che l’ha visto protagonista per una breve stagione. Attenzione a non disperdere il patrimonio di tassi bassi creato dalla politica monetaria della Bce per attuare l’azione di riduzione del debito pubblico; un fardello che potrebbe ri-esploderci tra le mani con l’innalzamento degli spread o una prossima inversione di tendenza della crescita economica. Anche perché, a ben vedere, le stime di calo del debito nei prossimi anni sono legate a doppio filo a una prospettiva di crescita dell’inflazione che potrebbe a conti fatti deludere le attese, come è costantemente avvenuto negli ultimi tempi. Sono i punti fermi del ‘programma’ di Carlo Cottarelli, ex uomo della revisione della spesa pubblica e a lungo rappresentante di spicco dell’Italia al Fondo monetario internazionale.
Cottarelli è rientrato in Italia per lanciare con l’Università cattolica di Milano e otto finanziatori esterni un Osservatorio sui Conti pubblici italiani: un luogo di “rigore d’analisi” ma anche di “informazione ed educazione” rivolto al grande pubblico, che dovrebbe preoccuparsi maggiormente, e con maggiore possibilità di discernimento critico, di questi temi. Un think tank (che si dedicherà anche a verificare quanto verrà promesso in campagna elettorale) presieduto dal rettore Franco Anelli e che si avvale di una squadra di ricercatori e docenti collaboratori, tra i quali Massimo Bordignon dell’European Fiscal Board.
Il tema forte messo sul tavolo è proprio quello di aggredire il debito con maggiore incisività. Due i rilievi, tra passato e futuro.
In primo luogo, è un problema l’aver costantemente rinviato gli obiettivi di surplus primario, come mostra il grafico sopra. Atteggiamento italiano che secondo Cottarelli mina la credibilità del Belpaese presso le istituzioni europee e soprattutto spunta le armi per scalfire il debito. Cottarelli sciorina la storia dei nostri rinvii: secondo il Documento di economia e finanza dell’aprile 2014, l’anno prossimo avremmo dovuto registrare un surplus del 5 per cento. Se tutto va bene saremo tre punti percentuali sotto, al 2%. E non potremo addossare la colpa di questo alla crescita inferiore alle attese, che ha un peso minoritario nel mancato raggiungimento degli obiettivi: un fallimento figlio piuttosto di politiche più espansive, principalmente i tagli alle tasse finanziato con il deficit. Atteggiamenti – per alcuni necessari a dare spinta al Paese – ma che si scontrano con il dato di fatto di una crescita che nel periodo è stata inferiore al previsto, “il che ci dice molto sulle debolezze strutturali dell’economia italiana”.
Il secondo punto è prospettico e riguarda il fragile equilibrio sul quale prevediamo di far scendere il debito/Pil nei prossimi anni. Cottarelli dà atto a Padoan e Gentiloni di aver assemblato una manovra che per il 2018 comporta una riduzione del deficit e un piccolo aumento del surplus primario, missione non scontata mentre già si montano i seggi elettorali. L’anno prossimo, il debito pubblico si dovrebbe ridurre rispetto al Pil in modo abbastanza significativo (un punto e mezzo percentuale).
“Ci sono però dei rischi”, argomenta Cottarelli. Il maggiore è dato dal fatto che le proiezioni del governo confidano in un tasso di crescita nominale del Pil elevato, figlio di una forte ripresa dell’inflazione. Di contro, si prevede un tasso d’interesse sul debito stabile. Al punto da generare una significativa riduzione del differenziale tra tasso di interesse a tasso di crescita del Pil, che diventerebbe “negativo per la prima volta in vent’anni circa, per effetto dell’aumento dell’inflazione”. Proprio questa rara dinamica darebbe una spallata significativa al rapporto debito/Pil, contribuendo a ridurlo dal 131,6% del 2017 al 123,9% del 2020. “Non è la prima volta che prevediamo una ripresa dell’inflazione: lo abbiamo fatto sempre negli ultimi anni, ma le aspettative non si sono realizzate”, ammonisce Cottarelli. Ecco perché il nostro sentiero di riduzione del debito/Pil rischia di essere, oltre che stretto, traballlante. Se il differenziale tra tasso di interesse e tasso di crescita rimanesse sul livello del 2017, nel 2020 il rapporto tra debito e Pil sarebbe non del 124 ma 129%, con una riduzione molto limitata rispetto al valore attuale. E ci troveremmo, ancora, a correggere in corsa le nostre promesse.