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Il boom delle social street a Milano, dal virtuale al reale: ora offrono servizi

Nov 12, 2017

Vicinato 2.0, l’hanno definito, e Milano ne è la capitale, con numeri che crescono ogni giorno. Lo sanno le decine di migliaia di milanesi iscritti alle 76 social street attive della città: agorà moderne, dove chi condivide un indirizzo di casa e spesso non si conosce neanche impara a mettere in comune informazioni, capacità, esperienze, oggetti, in un sistema di baratto reale e metaforico. Sono le voci – vere – dei quartieri, il polso di un pezzo di città. Tanto che ormai le amministrazioni – il Comune, ma anche i singoli Municipi – cercano di intercettarle per capire dove tira il vento, quali sono i problemi, quali le necessità.

“Milano è in testa da sempre nella classifica delle social street, con uno scarto significativo rispetto alle altre città: è anche l’unica dove, dal 2013, non c’è stata flessione, con nuove social street sempre più motivate”: Cristina Pasqualini è una ricercatrice di Sociologia della Cattolica che studia questo fenomeno sin dall’inizio. È stata lei ad aver catalogato anche le tre fasi che attraversano i gruppi informali che nascono sui social: la tappa del virtuale, quella del virtuale-reale e quella del virtuoso. Dalla condivisione di post su una pagina Facebook si è passati all’interazione fisica, fatta di progetti in comune, iniziative sportive, aiuto a chi ha bisogno, la ricerca di una soluzione concreta a un problema pratico. Come la caccia a un idraulico non troppo caro ma competente, la raccolta di abiti o mobili per un vicino di casa in difficoltà economica, la dritta su dove trovare l’oggetto dei desideri e l’organizzazione di un incontro allargato per discutere dell’ultimo progetto per riqualificazione del quartiere. Anche in quelli dove è più delicato il tema dell’integrazione: come in Paolo Sarpi, la prima social street di Milano, che adesso conta anche iscritti cinesi, o come a NoLo, il quadrante a nord di Loreto, tra viale Monza e quella via Padova che non ci sta a essere raccontata solo attraverso la lente del degrado e del problema sicurezza.

“È proprio l’idea di riappropriarsi del loro territorio in maniera virtuosa che spinge molte persone, soprattutto i 30-40enni, ad aprire una nuova social street”, aggiunge Pasqualini, che sta per pubblicare l’e-book “Vicini e connessi, rapporto sulle social street di Milano” con Fondazione Feltrinelli. Basta un amministratore – anche se tutte ne hanno almeno due, perché è pur sempre qualcosa che si fa da volontari – ed ecco nascere, una dopo l’altra, le pagine di quartiere, con nomi fortemente identificativi per far capire agli abitanti che si parlerà proprio a loro e con loro. Di tutto, anche se con regole precise, cercando di evitare le discussioni in cui dalla denuncia di un problema si passa alla generalizzazione.

Politica dal basso, si diceva un tempo: adesso, è il momento di condividere la baby sitter, aiutare l’anziana che non può andare a fare la spesa, regalare un computer inutilizzato all’associazione che lavora con gli stranieri. Michaela Molinari è una delle amministratrici della social street di via Benedetto Marcello, tra le ultime nate, a maggio, ma con già 600 iscritti e una volontà sempre più forte di passare dal virtuale al reale. Qui la sfida è precisa: “Smettere di lamentarci dicendo come i giardini sotto casa siano abbandonati e trascurati e fare qualcosa di propositivo, riappropriarci e vivere un pezzo del nostro quartiere”. Anche utilizzando occasioni di festa: a luglio si sono ritrovati in 150, “sedie, tavoli, piatti li abbiamo portati da casa, e ci hanno aiutato anche i commercianti della zona”. Ed è così, conoscendosi, che sono nate altre iniziative, come il gruppo di lettura nella vicina libreria Tadino, sulla scia di altri gruppi, come quello di via Solari, che ha una pagina di consigli di lettura. Ed è così che, quando la scorsa estate è scomparso lo storico clochard della strada – “per molti è un amico” – , è partita una gara di solidarietà e una ricerca in mezza città.

Insomma, se in una piazza c’è degrado, difficilmente nella social street si tollereranno i post razzisti o offensivi, mentre saranno benvenuti quelli che propongono soluzioni. Cercando un canale di comunicazione anche con le istituzioni, ricordando però una premessa fondamentale: le social street sono gruppi informali e tali vogliono restare. Palazzo Marino sta cercando di intercettare queste disinteressate antenne sul territorio, con un registro delle associazioni informali: finora sono 28 le social street iscritte, “con loro facciamo riunioni periodiche, ma anche con le altre cerchiamo un confronto – spiega l’assessore alla Partecipazione Lorenzo Lipparini – : vogliamo coinvolgerle nella stesura del regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni”.

Perché queste “realtà liquide” stanno anche diventando un pungolo per utilizzare o rigenerare gli spazi della città. Alcune stanno partecipando

al bando per il bilancio partecipativo del Comune: la social street di via Morgagni, per esempio, vorrebbe la riqualificazione di piazzale Bacone. Racconta Ilaria Giuliani, coordinatrice dei ricercatori sulle trasformazioni urbane della Fondazione Feltrinelli: “Queste piccole comunità sperimentano nuovi modelli di partecipazione dal basso: in qualche modo dimostrano che la responsabilità individuale per la cura dei beni comuni può diventare collettiva”.

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