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Tremila Vargiu: «Non finisce qui»

Set 2, 2019

La caratteristica principale di Dario Vargiu? La conoscono tutti: non ci sta mai a perdere, neppure se gioca a carte. Sarà anche per questo che è un serial winner, il 43enne di Oristano: sei scudetti (2006, 2008, 2013, 2014, 2017 e 2018) e ora l’ambitissima tessera dell’esclusivo club dei fantini italiani arrivati a 3.000 vittorie in carriera (prima di lui solo Paolo Caprioli, Saverio Pacifici, Enrico Camici, Gianfranco e Lanfranco Dettori e Mirco Demuro). Il traguardo l’ha tagliato domenica a San Siro, ma certo non ha intenzione di fermarsi.

«Ho vinto un migliaio di corse negli ultimi cinque anni, diciamo allora che magari da qui ai prossimi cinque cercherò di arrivare a quota 4.000. E di riuscire finalmente a vincere gli unici gran premi che ancora mi mancano, in Italia: le Oaks e il Lydia Tesio».

Un traguardo importante, raggiunto però da freelance.

«Il mio ultimo anno e mezzo è stato particolare (era alla Incolinx, è passato alla Effevi, ora collabora comunque con i Botti – ndr). Non è male essere libero, senza vincoli, anche se il posto fisso ti dà sempre la sua tranquillità…».

E adesso sotto con il settimo scudetto, anche se per il momento la classifica vede Dario (80 vittorie) preceduto da Salvatore Basile (83) e Mario Sanna (81).

«Devo recuperare, ma con l’autunno tornerò a montare tanto, potendo peraltro contare su cavalli di qualità come quelli allenati dai Botti».

È l’unico dei nostri top jockey che continua a tenere un sito web aggiornatissimo sulla propria carriera.

«Ci tengo molto, è bello che ci siano dentro le statistiche così come le fotografie e i video più significativi. Me lo cura Max Bertolini».

Una carriera che l’ha portato a conquistare Derby in Italia (2004 e 2016), Germania (2016) e Qatar (2017), ma anche a vincere un paio di corse in Australia.

«Ci ho passato tre mesi tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002: è stata un’esperienza non semplice, che però ricordo con grande piacere».

Nel 2015 ha anche tentato di ottenere una licenza permanente in Giappone, come Mirco Demuro.

«Ecco, quello è davvero complicato: ci ho provato ma non ce l’ho fatta. Mi dispiace solo di non poter più ottenere neppure le licenze temporanee: qui da noi non ci sono gruppi 1 da vincere, come invece è richiesto dal loro regolamento. E vincerli fuori dall’Italia è un po’ più complicato…».

Sardegna, terra di fantini: sono però sempre di più i ragazzi che vanno direttamente in Inghilterra o in Francia a imparare il mestiere.

«Fanno bene, lì ci sono più opportunità e certezze. Certo, non è facile emergere, ma le occasioni non mancano: Malune, Atzori, Ghiani sono bravi e in Inghilterra lo stanno facendo vedere».

A proposito, piccoli Vargiu crescono.

«Hanno tredici anni e mezzo il primo, dodici il secondo. Vengono su abbastanza alti, vedremo come saranno messi col peso: però i cavalli sono la loro passione».

E invece con il rap e l’hip hop come va?

«Di recente ho rivisto uno dei ragazzi dei Bruvura Bros, abbiamo buttato giù qualche testo: avremo modo di divertirci ancora».

In carriera anche una vittoria al sulky. Niente trotto montato?

«Me l’hanno chiesto più volte, ma sono contento di essermi tolto lo sfizio di vincere correndo con il sulky. Quindi va bene così, grazie».

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