Nei seminari è consentito l’accesso alle persone omosessuali purché esse vivano “responsabilmente la castità del celibato” mentre non potranno essere ammessi al seminario e agli Ordini sacri “coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Sono entrate in vigore, ad experimentum per tre anni, le nuove linee guida della Cei “La formazione dei presbiteri nelle chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari”. Il documento vede la luce dopo anni di lavoro. Del resto era necessario rivedere alcune regole per l’ingresso nei seminari. Per quanto riguarda la questione dell’omosessualità, fu lo stesso Papa Francesco, in un incontro a porte chiuse con i vescovi italiani nel maggio scorso, a sottolineare la troppa “frociaggine” nei seminari. Ma non solo serviva regolamentare su questo.
Nel documento, che ha ottenuto la conferma della Santa Sede con decreto del Dicastero per il Clero, si sottolinea anche la “massima attenzione” che dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando “con cura che coloro che chiedono l’ammissione al Seminario maggiore non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito” e ci si sofferma anche sul mondo digitale e sui social network, ovviamente non vietati ma sui quali serve vigilare. Ma anche, nelle circa 90 pagine, si affrontano la formazione dei futuri sacerdoti anche con l’aiuto di equipe di laici, tra cui figure femminili e psicologi professionisti, l’ammissione nei seminari di alunni, anche stranieri, usciti o dimessi da altri seminari o da case di formazione di vita consacrata e le vocazioni adulte.
I capitoli guida
Sono cinque i capitoli del documento che tracciano un iter formativo al presbiterato articolato in due tempi: una prima fase dedicata alla costruzione della consistenza interiore, al rapporto educativo “forte” con i formatori, a una solida vita spirituale, all’applicazione allo studio e alla preghiera, alla conoscenza di sé. La seconda fase è incentrata su un maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al sacerdozio. Un riferimento nel terzo capitolo alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari o che “scoprono” nel corso della formazione tale situazione.
“In coerenza con il proprio Magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non puo’ ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”
“Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”. Tuttavia, secondo la Cei, quando nel processo formativo si fa riferimento a tendenze omosessuali è “opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, cosi’ come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale”. L’obiettivo della formazione nell’ambito affettivo-sessuale del candidato al sacerdozio è “la capacità di accogliere come dono, di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato“. “Non è un’indicazione meramente affettiva”, ma “la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso”.
La castità “è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore”. “Questo non significa solo controllare i propri impulsi sessuali, ma crescere in una qualità di relazioni evangeliche che superi le forme della possessività, che non si lasci sequestrare dalla competizione e dal confronto con gli altri e sappia custodire con rispetto i confini dell’intimità propria e altrui. Essere consapevole di ciò è fondamentale e indispensabile per realizzare l’impegno o la vocazione presbiterale, ma chi vive la passione per il Regno nel celibato dovrebbe diventare anche capace di motivare, nella rinuncia per esso, le frustrazioni, compresa la mancata gratificazione affettiva e sessuale”.
Nel quarto capitolo si parla della formazione nel Seminario maggiore e sono presenti due paragrafi dedicati al tema della protezione dei minori e delle persone vulnerabili. Il documento sottolinea che i formatori potranno avvalersi, nei percorsi educativi, della pubblicazione “La formazione iniziale in tempo di abusi”, curata dal Servizio Nazionale per la tutela dei minori: un percorso di indagine, cura e accompagnamento che, insieme all’accoglienza e alla protezione delle vittime, propone itinerari e sussidi di formazione affinché cresca il senso di corresponsabilità e attenzione verso minori e vulnerabili.
Altra questione spinosa: i giovani usciti volontariamente o dimessi da un Seminario o da una casa di formazione degli Istituti di vita consacrata. Numerose e dettagliate le norme contenute nel documento. Oltre a colloqui e incontri previi per la conoscenza diretta del soggetto, le principali disposizioni richiedono: la domanda scritta e motivata del candidato con le ragioni che hanno determinato l’abbandono o la dimissione; l’obbligo per il Seminario che accoglie di acquisire tutti gli elementi per la valutazione e l’obbligo per i precedenti superiori di fornire tali informazioni; la comunicazione scritta e motivata dell’eventuale ammissione all’interessato, al rettore del Seminario di provenienza, al Vescovo o al superiore.
L’invito generale è a essere “molto prudenti nell’accettare un seminarista” dimesso da un altro Seminario o casa di formazione. Veto assoluto, invece, alle domande di “coloro che, dopo il diciottesimo anno di età, per una seconda volta siano stati dimessi o abbiano lasciato” il Seminario o altri istituti.
Le nuove tecnologie
Infine, un cenno alle nuove tecnologie, con particolare focus sui social media. Occorre vigilare sulle “evasioni proposte dalle ‘comunità virtuali’ che si formano attraverso i social media”, si legge nel primo capitolo. Mentre nel quarto, dal titolo Mondo digitale e social network, si evidenzia: “Come tutti, anche i seminaristi vivono immersi nell’ambiente digitale in cui virtuale e reale sono strettamente intrecciati. Questo richiede che siano accompagnati a maturare la capacita’ di abitare tale ambiente con consapevolezza e sapienza, riconoscendone le opportunità e i rischi”.
“Accanto alla sempre necessaria prudenza per tutto ciò che deve essere vissuto e utilizzato in modo consapevole e buono” si registra “la consapevolezza che anche quello digitale è un mondo da abitare e da evangelizzare nei modi opportuni”. E anche la gestione “dei siti internet o dei profili social del Seminario, così come i periodici a stampa, i mezzi di comunicazione di alcune attività rivolte soprattutto ai giovani, possono essere gestiti insieme da gruppi di seminaristi che vengono incaricati annualmente”.