“Ho denunciato esponenti di primo piano del clan Zagaria. Sono sotto scorta da quattro anni, ma comincio a pensare che denunciare la camorra non sia stata la scelta più giusta”. Roberto Battaglia, 47 anni, imprenditore casertano del settore lattiero caseario, lancia il suo grido d’allarme, che è anche uno sfogo contro la burocrazia. “Il 22 settembre la mia azienda e i miei beni personali andranno all’asta perché la prefettura di Caserta, insieme con il commissariato antiracket, non hanno concluso gli iter burocratici per rimborsarmi dei danni per le vittime del racket e dell’usura. In verità – aggiunge – Non sono l’unico. Altri imprenditori come me stanno vivendo lo stesso incubo. La nostra colpa è solo quella di aver creduto nello Stato”.
Quella di Roberto Battaglia è una lunga storia. Una storia di vessazioni cominciata alla fine degli anni ’90, quando l’Agenzia di “Viaggi Battaglia”, che il padre gestiva a Caserta, comincia ad avere momenti di difficoltà. L’Alitalia revoca 28 agenzie generali in Italia che vendevano biglietti aerei per tutta la provincia. Il fatturato crolla. Le banche chiedono il rientro dei prestiti. Finisce in mano agli usurai. Con i soldi dell’azienda bufalina cerca di far fronte ad un debito che di mese in mese aumenta a dismisura. Il padre muore nel gennaio del 2000, ma gli usurai non mollano. Hanno vita facile anche perché le banche hanno chiuso i rubinetti nei confronti della famiglia Battaglia.
Così nel 2008 l’imprenditore si ribella e il 17 luglio fa arrestare uno dei suoi aguzzini, Luigi Schiavone, il cugino di Francesco Schiavone, “Sandokan”, capo del clan dei casalesi. Nello stesso giorno il giudice civile dà esecuzione alla vendita dei beni all´asta per pagare i debiti contratti con le banche.
Nel 2012 Battaglia finisce sotto scorta per ordine dei magistrati della Dda di Napoli. “Subivo le estorsioni del clan di Zagaria di Casapesenna – racconta l’imprenditore – per la mia azienda bufalina che si trova nella campagne di Caiazzo e fino a quando non hanno arrestato Michele il capo del clan, il 7 dicembre del 2011, non ho denunciato per paura delle minacce ai miei familiari. Quando lo hanno preso ho avuto il coraggio di dire tutto e sono finiti in carcere per estorsione i fratelli Zagaria, Pasquale, Carmine e Antonio, e anche Filippo Capaldo il nipote di Michele Zagaria che oggi è considerato il reggente del clan”.
La denuncia di Battaglia la raccoglie il capo della Dda napoletana, Federico Cafiero de Raho. Il Pm Giovanni Conzo emette l’ordine di arresto, confermato dal Gip e dal Riesame. Gli imputati chiedono il rito abbreviato, ma al processo che si svolge nel 2014, il colpo di scena: gli imputati vengono tutti assolti. Nel frattempo Battaglia riceve anche altre minacce. Gli rubano l’auto e la ritrova incendiata.
“Le motivazioni della sentenza che dovevano uscire dopo tre mesi – spiega Battaglia – escono dopo 10 mesi. Di conseguenza c’è anche un ritardo nel ricorrere in appello da parte della Dda e ritardo anche nel fissare la nuova data del processo di appello. I processi sono requisiti essenziali per l’elargizione delle provvidenze economiche”.
Ma dopo la sentenza, l’iter procedurale per liquidare i risarcimenti a Battaglia, si blocca. A far procedere con cautela gli organi dello Stato, ci sono le motivazioni con la quali sono stati assolti gli esponenti del clan Zagaria.
“Nelle motivazioni si dice che sono stato al matrimonio dei due fratelli Zagaria, Pasquale e Carmine. Ma, in realtà, non l’hanno scoperto loro. Sono stato io a scriverlo nella denuncia fatta direttamente a Cafiero de Raho. Era già tutto noto. Quando un boss ti dice devi venire al matrimonio, tu che fai, ti rifiuti? Sono stato costretto ad andare. Sono andato da solo e non con la mia famiglia”.
“Finora – spiega Battaglia – non ho avuto nemmeno un centesimo dallo Stato, perché il commissario antiracket ha stabilito, contrariamente a quanto prevede la legge, che tutto si deve fermare se non c’è l’esito della sentenza di appello. Ma, sta di fatto, che l’altro processo, quello nei confronti di Luigi Schiavone, procede in modo regolare e non c’è alcuna spiegazione per bloccare anche questo filone. Non pretendo privilegi. Ma dico solo che se lo Stato si ferma nel darmi quello che la legge dice che mi spetta, allora fermi anche i creditori, altrimenti dovrò andare a chiedere l’elemosina. Al Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere – insiste Battaglia – c’è una situazione davvero paradossale. La giustizia civile è allo sbando. Il curatore fallimentare ha recuperato 450 mila euro per il fallimento che c’è stato il 23 dicembre 2002, ma quei soldi le banche non li hanno mai ricevuti. Li trattiene ancora il curatore fallimentare senza averne titolo. E così le banche attaccano me e mia sorella perché siamo garanti dell’agenzia Battaglia. Il 22 settembre 2016, la mia casa, quella di mia sorella e l’azienda bufalina finiranno all’asta. E se ho ragione io, chi mi rimborsa? Ho
fatto numerose segnalazioni al Tribunale su questa vicenda, ma non ho ottenuto risposte. Ma chi avrà più il coraggio di credere allo Stato e denunciare dopo queste vicende? Io non chiedo privilegi, ma solo che qualcuno dica al curatore fallimentare di pagare le banche creditrici con i soldi che ha incassato. In questo modo, quando si definiranno tutte le vicende processuali, se ho ragione io, lo Stato mi paga, altrimenti no. Chiedo troppo?”.