• 24 Novembre 2024 15:49

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Dic 1, 2023

AGI – I mercati continuano a viaggiare a corrente alternata, anche se a novembre gli alti hanno nettamente superato i bassi. Le azioni globali nel mese appena trascorso sono volate al top da 3 anni, nella convinzione che la Fed e le altre grandi banche centrali abbiano messo le briglie all’inflazione e che i tassi siano al picco e destinati ad essere tagliati nella prima metà del prossimo anno.

Spicca l’indice Msci All-Country World che a novembre è cresciuto del 9%, registrando il miglior balzo mensile dal 2020 e cioè da quando è uscito il vaccino per il Covid. Tuttavia oggi a Wall Street i future sono incerti e in Asia i listini aprono in ribasso il mese di dicembre, ansiosi di capire se veramente la Federal Reserve abbia deciso di voltare pagina sui tassi e preoccupati per i Pmi della Cina, che a novembre hanno dato indicazioni contrastanti, con l’indice Caixin che mostra un inaspettato rimbalzo dell’attività manifatturiera cinese, ma giunge il giorno dopo che il Pmi manifatturiero, sempre a novembre, è scivolato sempre più in contrazione, mentre l’espansione del settore servizi è scesa ai minimi del 2023.

Oggi inoltre i mercati guarderanno al numero uno della Fed Jerome Powell, che terrà un discorso sull’innovazione tecnologica e quindi potrebbe anche evitare di pronunciarsi sui tassi, mentre i suoi colleghi della Fed non sembrano tanto d’accordo sulle prospettive future.

John Williams, il potente capo della Fed di New York, ieri ha detto che l’inflazione è ancora “troppo alta” e bisognerà mantenere l’inasprimento monetario, mentre il giorno prima Christopher Waller, uno dei ‘falchi’ della Fed, aveva usato toni più morbidi dicendosi “sempre più fiducioso” che la politica monetaria sia nella posizione giusta per raggiungere gli obiettivi della Fed e suggerendo che i tassi potrebbero scendere se l’inflazione si modererà “per diversi mesi”.

Insomma, la Federal Reserve resta divisa sulle sue mosse future e anche da parte degli analisti arrivano indicazioni contrastanti: Deutsche Bank è pessimista e prevede che la Fed inizierà ad abbassare il tasso di riferimento non prima di giugno, riducendolo dell’1,75% entro la fine dell’anno, mentre l’economia Usa entrerà in recessione, seppure in modo leggero, nella prima metà del 2024.

E Ubs invece è più ottimista e si aspetta che la Fed inizi a tagliare i tassi già a marzo. Queste incertezze si riflettono sui mercati, che non mantengono una direzione precisa. Anche i rendimenti dei Treasury sono in calo, con il 10 anni al 4,33% e il 2 anni al 4,67%, dopo che ieri a fare la differenza, incoraggiando i rialzisti, era stata l’inflazione dell’Eurozona, che a novembre è scesa al 2,4%, ai minimi dal luglio 3021, dal 2,9% di ottobre e contro un atteso 2,7%. E negli Usa anche l’inflazione core Pce, che la Fed considera l’indicatore più fidato sull’andamento dei prezzi, è rallentata al 3,5% dal 3,7% del mese precedente. 

Una parte dei mercati, spiega Torsten Slok, capo economista di Apollo, “è ormai convinta che l’inflazione non sia più un problema. E, se l’inflazione non è più un problema, non lo è neanche la Fed e questo significa che gli asset rischiosi inizieranno a far meglio”. Gli aumenti dei tassi sono stati a lungo una “nuvola oscura sospesa sugli asset rischiosi” spiega Wylie Tollette, chief investment officer di Franklin Templeton Investment Solutions.

Ora, però, “la maggior parte degli operatori – aggiunge Tollette – crede che la Fed possa davvero farcela” e che riuscirà a riportare l’inflazione sotto controllo senza far partire una dolorosa recessione. Tuttavia non tutti la pensano così”. C’è anche chi ritiene che il rally sia andato troppo oltre. Grandi gestori patrimoniali come Vanguard e Robeco hanno recentemente avvertito che le valutazioni sono eccessive. E invitano alla prudenza.

E questo spiega i su e giù dell’azionario. I prezzi del petrolio sono in calo in Asia, con il Wti a quota 75 dollari e il Brent poco sopra gli 80 dollari, dopo che l’Opec+ ha raggiunto un accordo per tagliare in modo incisivo l’offerta nel 2024. I 13 ministri dell’Opec, guidati dall’Arabia Saudita, e i loro dieci alleati, guidati da Mosca, hanno concordato di “tagliare ulteriormente la produzione tra i 600.000 e il milione di barili al giorno.

La cifra finale deve ancora essere definita, ma secondo gli analisti l’attuazione di ulteriori tagli farà salire i prezzi nell’immediato, anche se a lungo termine l’impatto sarà tutto da valutare. L’incontro dell’Opec+ si è svolto online e non a Vienna e si è tenuto nello stesso giorno in cui i leader mondiali si sono riuniti a Dubai per la conferenza sul clima delle Nazioni Unite.

– LA FED NON E’ PRONTA A INIZIARE A PARLARE DI TAGLI DEI TASSI

La Fed a dicembre si prepara a prendersi la terza pausa consecutiva sui tassi, ma i banchieri americani non sembrano ancora pronti a iniziare a parlare di tagli dei tassi. La conferma arriva dai recenti interventi di numerosi membri del Fomc, i quali non intendono abbassare la guardia. Ieri è stata la volta di John Williams, il potente capo dell Fed di New York, il quale ha ribadito che, nonostante un calo significativo, l’inflazione è “ancora troppo alta”. Williams ha poi aggiunto che, pur vedendo l’inflazione avvicinarsi all’obiettivo del 2% della Federal Reserve entro il 2025, ritiene che sia opportuno “mantenere un atteggiamento restrittivo per un bel po’ di tempo”.

Prima di Williams, Christopher Waller, uno dei ‘falchi’ della Fed aveva usato toni più morbidi dicendosi “sempre più fiducioso” che la politica monetaria sia nella posizione giusta per raggiungere gli obiettivi e suggerendo che i tassi potrebbero scendere se l’inflazione si moderera’ “per diversi mesi”. Tuttavia quella di Waller è stata l’unica voce da ‘colomba’, mentre gli altri membri Fed si sono mantenuti abbastanza aggressivi. Thomas Barkin, presidente della Fed di Richmond ha detto che l’inflazione potrebbe “riaccendersi” e che occorre “fare di più sui tassi”. 

Per poter prendere in considerazione dei tagli dei tassi la banca centrale Usa dovrà essere sicura che l’inflazione stia tornando al 2% in modo sostenibile. E lo stesso Powell, che oggi interverrà, anche se potrebbe non fare riferimento ai tassi, all’inizio di questo mese ha detto che i funzionari della Fed in questo momento non sono tutti convinti che il target del 2% sia vicino.

Insomma, la Fed, prima di decidersi a tagliare, probabilmente avrà bisogno di ricevere diversi rapporti sull’inflazione che riflettano una tendenza al ribasso, sul tipo di quello uscito a ottobre. Intanto gli economisti di Deutsche Bank prevedono attualmente che l’istituto inizierà ad abbassare il tasso di riferimento a giugno, riducendolo dell’1,75% entro la fine dell’anno, mentre l’economia Usa entrera’ in recessione, seppure in modo leggero, nella prima metà del 2024. Ubs invece è più ottimiste si aspetta chela Fed inizierà a tagliare i tassi a marzo.

– USA: RALLENTA INFLAZIONE, INDICE PCE IN LINEA CON ATTESE

Negli Usa rallenta l’inflazione. A ottobre il dato Pce (personal consumption expenditures price index), la misura osservata dalla Federal Reserve, è rimasta invariata rispetto al mese precedente ed è cresciuto del 3% rispetto a un anno prima, in linea con le attese, dopo il 3,4% di settembre. La componente “core” del dato, depurata dagli elementi volatili, è cresciuta dello 0,2% rispetto al mese precedente e del 3,5% rispetto a un anno prima, in linea con le attese, dopo il 3,7% del mese precedente.

– EUROZONA: INFLAZIONE SCENDE PIU’ DEL PREVISTO, 2,4% A NOVEMBRE

L’inflazione dell’Eurozona scende molto più del previsto, attestandosi al 2,4% a novembre, al ritmo più lento dal luglio 2021. Si tratta di un livello che asseconda le esigenze dei consumatori e che alimenta la speranza che i tassi di interesse possano presto essere tagliati. Ora i trader si aspettano che i tassi possano iniziare a essere ridotti già dal prossimo aprile

Gli analisti si aspettavano che i prezzi al consumo si attestassero dal 2,9% di ottobre al 2,7%. A spingere al ribasso l’inflazione sono stati soprattutto i prezzi dell’energia e quelli dei beni alimentari. La Bce si riunirà il 14 dicembre e quel giorno gli economisti si aspettano che ridurra’ le previsioni di crescita e di inflazione. 

 – PETROLIO: L’OPEC+ ACCETTA I TAGLI VOLONTARI E INVITA IL BRASILE AD ADERIRE

I produttori di petrolio dell’Opec+ hanno concordato giovedì dei tagli volontari alla produzione per un totale di circa 2,2 milioni di barili al giorno per l’inizio del prossimo anno, guidati dall’Arabia Saudita che rinnova il suo attuale taglio volontario. L’Opec+ ha anche invitato il Brasile, uno dei primi 10 produttori mondiali, a diventare un nuovo membro del gruppo. A New York il prezzo del greggio ha chiuso in calo del 2,5%, con il Wti sotto 76 dollari al barile e i future sul Brent, sopra gli 80 dollari al barile.

– USA: SUSSIDI DISOCCUPAZIONE RESTANO SOPRA LE 200.000 UNITA’

Il mercato del lavoro intanto gode di buona salute ma registra una performance al di sotto delle stime: i sussidi settimanali di disoccupazione sono saliti di 7.000 unità posizionandosi a 218.000 unità, in aumento rispetto al precedente 211.000 unità e sotto alle 220.000 unità previste. Il dato mostra che gli aiuti per la disoccupazione restano elevati, il che non dispiace ai mercati, poichè dimostra che il mercato del lavoro Usa si sta indebolendo. 

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