ROMA – Dopo due anni lascia il comando nazionale del Ros per insediarsi, da domani, luned 2 ottobre, alla direzione della Dia ma il suo primo e ultimo pensiero al Reparto operativo speciale dei Carabinieri.
Al cuor non si comanda e il generale Giuseppe Governale, 58 anni, oltre alla lunga esperienza in prima fila contro la criminalit organizzata, a partire dalla sua Sicilia, nella Direzione investigativa antimafia porta anche il suo credo. Se vogliamo combattere la criminalit organizzata a colpi di professionalit – spiega in questa intervista ad ampio spettro al sole24ore.com che ha voluto scegliere per il suo debutto nel nuovo incarico – abbiamo perso in partenza. Bisogna rispondere con qualcuno che ha fame di giustizia.
Qual il consuntivo di questi due anni alla guida del Ros?
Sono stati due anni intensissimi sia nel contrasto al terrorismo che alla criminalit organizzata, con risultati sicuramente soddisfacenti. Non stata solo fortuna l’aver scongiurato attentati al nostro Paese. Le Forze di polizia italiane nello specifico settore possono contare su straordinarie professionalit e nella condivisione pressoch immediata delle informazioni. Sono valori che per il Ros si aggiungono a quella filosofia operativa che fin dagli anni ’70 ci diede il Generale dalla Chiesa, basata anche sulle tecniche di osservazione, controllo, pedinamento e infiltrazione, funzionali a superare il gap di asimmetria nei confronti di un avversario che, per attuare le proprie azioni delittuose, non esita a mettere in gioco la sua stessa vita.
Una certa asimmetria si rileva anche nel contrasto alla mafia che purtroppo in modo non appariscente continua a infiltrarsi nelle varie aree del Paese. Numerose sono state le attivit del Ros per infrenare queste forme di criminalit soprattutto nei confronti della ‘ndrangheta, l’organizzazione senz’altro pi pericolosa. Sono state colpite progressivamente le articolazioni pi importanti delle famiglie storiche non solo della provincia di Reggio Calabria ma direi di tutte le aree della Regione.
Quale sar la sua Dia, dopo anni di direzione del generale del Gdf Nunzio Antonio Ferla, che ha puntato moltissimo sulla spoliazione dei patrimoni mafiosi?
La Dia una struttura interforze che rappresenta e riunisce emblematicamente gli sforzi corali delle forze di polizia nella lotta alla criminalit, in primo luogo depauperando le risorse illecitamente accumulate. Questa continuer ad essere la priorit della Dia, che finora ha svolto molto bene e che speriamo continuer a farlo. Occorrer tanta professionalit ma soprattutto tenere sempre presente che la migliore arma a disposizione per sviluppare efficaci manovre investigative costituita dalla motivazione del nostro personale, che va sostenuto e valorizzato, cercando di ottenere da ciascuno il meglio che pu dare.
Cosa porter della sua esperienza nel contrasto a mafie e terrorismo?
In entrambi i casi siamo di fronte ad organizzazioni criminali che oggi tendono sempre pi a sfruttare i sistemi informatici. Indagini serie nel settore devono tenere conto della necessit di sviluppare azioni investigative attraverso team integrati: aliquote costituite da operatori anticrimine che agiscono congiuntamente ad analisti delle forze di polizia esperti del mondo cyber.
L’indagine “Jweb” del Ros, conclusa il 12 novembre 2015, giorno precedente la strage del Bataclan, quando venne smantellata una cellula di curdi-iracheni che gravitava a Merano ma con collegamenti con vari stati europei ed il leader in Norvegia, si pot realizzare solo grazie all’esplorazione del dark web e all’analisi attraverso complicati algoritmi di ricerca.
Rapporti con Direzione nazionale antimafia e Procure: come vanno rafforzati?
La Dna e le Procure distrettuali sono e continueranno ad essere il nostro interlocutore privilegiato. E’ naturale che per le competenze e la responsabilit di settore della Dia, anche alla luce del nuovo codice antimafia, questo rapporto gi pienamente funzionale dovr essere sostenuto e rinsaldato.
Gi, il nuovo codice antimafia: come cambier il vostro raggio di azione?
Agli operatori delle Forze di polizia non compete valutare le leggi, ma solo applicarle.
In ogni caso, l’approvazione del nuovo codice antimafia, amplia gli strumenti a disposizione della polizia giudiziaria e della magistratura per contrastare le mafie, cominciando anche da quelle condotte delittuose che non di rado vedono protagonisti coloro che si muovono nella zona grigia, vera cinghia di trasmissione del potere mafioso. Anche le modifiche alle disposizioni sull’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie potranno sicuramente corroborare l’azione di contrasto dello Stato.
Va da s che gli strumenti a disposizione devono per essere sapientemente utilizzati, e in tale senso mi sovviene sempre una bella citazione di Sciascia nel suo formidabile “Il giorno della civetta” a proposito del Capitano Bellodi “… un ufficiale che serviva la legge della Repubblica … che l’autorit di cui era investito considerava come il chirurgo considera il bisturi: uno strumento da usare con precauzione, con precisione, con sicurezza; che riteneva la legge scaturita dall’idea di giustizia e alla giustizia congiunto ogni atto che dalla legge muovesse … ”.
Qual il livello di infiltrazione della criminalit organizzata nel tessuto sociale?
La criminalit organizzata ha un’elevata capacit di infiltrarsi, poich riesce a instaurare relazioni con la societ civile e si alimenta con la collusione e la corruzione. Volendo usare una metafora, potremmo dire che la mafia come l’acqua poich penetra, si insinua, gocciola negli interstizi dei meccanismi di funzionamento dell’economia, si colloca negli spazi fra le regole del mercato e la sfera della politica e dell’intervento dello Stato. Il rischio sempre che si crei un sistema di connessioni perverse tra societ civile e “societ mafiosa” che si autoalimenta.
La situazione tuttavia differente nelle regioni d’origine delle mafie rispetto a quella delle cosiddette di “proiezione”.
Nelle prime, attraverso un uso specializzato della violenza le organizzazioni mafiose fanno sentire la loro incombente presenza, impongono il loro sistema di regole; un sistema illegale e violento, ben codificato ed efficiente, non di rado pi efficiente di quello legale, e che, a differenza di questo, sempre in grado di dare risposte tempestive e paradossalmente in linea con le aspettative di chi chiede giustizia.
In tale modo riscuotono consenso, traendo, infine, quella legittimazione necessaria per rendere evidente la supremazia del proprio sistema di regole su quello della societ civile.
Nelle regioni di “proiezione”, invece, possibile osservare processi di “colonizzazione criminale” che si sviluppano prevalentemente per via economica, in cui la componente militare, dedicata al controllo del territorio e alla consumazione dei reati tipicamente mafiosi, si affianca e talvolta subordinata alla componente economico-imprenditoriale.
Le mafie, quindi, tendono a cavalcare le logiche del mercato nell’alveo di un rapporto con il territorio non aggressivo, ma collusivo, cercando di sfruttare soprattutto il loro capitale sociale fatto di relazioni con il mondo politico, imprenditoriale e d economico.
Quale aiuto si aspetta dal mondo delle imprese, al quale compete un ruolo attivo nell’etica del lavoro e da Confindustria?
Mi aspetto una pi efficace azione di contrasto alle infiltrazioni della criminalit organizzata nel mondo dell’impresa dove assolutamente pagante una responsabile attivit di prevenzione. L’associazione degli industriali da tempo ha iniziato una battaglia per il rispetto della legalit contro ogni forma di infiltrazione della criminalit nelle attivit economiche. Le iniziative intraprese negli ultimi anni – protocolli di legalit che stabiliscono codici etici che prevedano l’obbligo di espulsione o sospensione delle imprese associate i cui vertici siano stati condannati per reati di tipo mafioso e il dovere di denunciare i reati che limitino la libert economica a vantaggio di imprese o persone riconducibili a organizzazioni criminali – devono essere portate avanti con sempre maggiore convinzione e determinazione.
Si dice che l’unione fa la forza: anche in questo caso?
Il percorso di cui parlo da attuare anche in piena collaborazione con la Dia per tutelare l’imprenditoria sana e contrastare invece quella parte del tessuto produttivo locale che si propone come esclusivo fine l’immissione nel circuito economico legale dei proventi di attivit illecite.
Pensa anche lei che si assiste al tramonto della cosiddetta antimafia civile?
L’antimafia ha pi componenti, lo sappiamo. A quella cosiddetta istituzionale, si affianca quella movimentista, rappresentata dal mondo dell’associazionismo.
L’antimafia istituzionale ritengo abbia nel complesso ben operato come testimoniamo i processi e le condanne inflitte, nel tempo, agli appartenenti alle varie consorterie.
L’antimafia movimentista, che si propone di rafforzare lo spirito civico e l’avversione generalizzata alle mafie, oggettivamente, ha vissuto fasi altalenanti, di grande attivismo, legato alle note situazioni emergenziali del dopo stragi, ma anche di minore efficacia, lo dobbiamo riconoscere.
Inoltre, accanto ad iniziative serie ed indiscutibilmente finalizzate a sensibilizzare lo spirito di legalit delle comunit afflitte dalla piaga delle mafie, ve ne sono altre che hanno utilizzato l’antimafia come un “brand” da esibire.
Non parlerei, dunque, di un tramonto dell’antimafia movimentista ma di un momento dove occorre riflessione per un’ulteriore spinta rigeneratrice.
Molto dannoso sarebbe infatti perdere la componente movimentista, che riveste un ruolo fondamentale nel plasmare la coscienza civica e legalitaria dell’opinione pubblica nella lotta alle mafie, a partire dalle scuole. Come diceva un mio grande conterraneo, Gesualdo Bufalino: “La mafia sar vinta da un esercito di maestri elementari”.
BLOG GUARDIE O LADRI
http://roberto.galullo.blog.ilsole24ore.com
© Riproduzione riservata