AGI – Il caso delle firme digitali promosso dalla ‘Lista Referendum e Democrazia’ potrebbe riscrivere le regole elettorali. Questo almeno si augurano Marco Cappato e gli altri sostenitori del movimento referendario che ai giudici delle Corti d’Appello a cui hanno presentato le firme digitali chiedono di considerarle valide tanto quanto quelle raccolte e validate su carta, coi metodi tradizionali previsti dalla legge.
La breve nota consegnata ai magistrati
“Stiamo depositando fisicamente o via Pec a tutte le Corti in Italia le firme, sia nel caso in cui abbiamo raggiunto la quota richiesta per collegio, circa 700, sia che non l’abbiamo toccata – è la strategia spiegata all’AGI da Marco Perduca, già presidente del Comitato promotore referendum cannabis legale e componente del Comitato promotore della lista-. Alle firme abbiamo allegato una breve nota in cui chiediamo che vengano ritenute valide per analogia con quanto avvenuto nell’ottobre del 2021 quando la Cassazione diede l’ok ai certificati digitali per i referendum su eutanasia e cannabis”.
“Il principio costituzionale a cui ci richiamiamo è quello dell’uguaglianza tra i cittadini e, inoltre, ai magistrati ricordiamo che lo Spid esiste dal 2014”.
“Pronti ad andare davanti alle Nazioni Unite”
Gli ostacoli per vedersi riconoscere le oltre 27mila firme digitali prese “in soli tre giorni perché abbiamo dovuto sostituire alcun candidati”, sono diversi. “Il primo scoglio è vedere come i giudici valuteranno il deposito di supporti tecnologici, come le ‘pennette’. Poi, va capito come argomenteranno un eventuale diniego. E’ probabile che in quanto magistrati applichino la legge così com’è ma potrebbero sollevare il tema a livello istituzionale con argomenti stringenti, buoni anche per i ricorsi”.
La gamma delle istanze prefigurata da Perduca è ampia: “In caso di un primo no, abbiamo 48 ore per ricorrere alla stessa Corte d’Appello. Siamo pronti ad andare poi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo ed, eventualmente, a presentarci al Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite per l’applicazione dei diritti civili e politici”.
La piattaforma mai creata
Lo stesso, precisa Perduca, “che nel 2019 aveva messo in mora l’Italia perché la normativa referendaria del 1970 creava irragionevoli ostacoli alla partecipazione del popolo sovrano a causa dell’esiguo numero di figure pubbliche che potessero autenticare le firme. I governi Conte 2 e Draghi hanno ampliato la platea di chi può autenticare aggiungendo anche gli avvocati e previsto la possibilità di sottoscrizioni digitali per i referendum e per le proposte di iniziativa popolare”.
In teoria, in base alla legge, afferma l’ex senatore radicale, si sarebbe dovuta predisporre una piattaforma gratuita collegata ai certificati elettorali evitando così ai sottoscrittori il pagamento di una piccola somma e l’interpello ai Comuni, “alcuni dei quali non hannno risposto”, che in questi giorni ha reso complicata la raccolta delle firme digitali per le elezioni. “Abbiamo raccolto 30mila euro, la metà dei quali utilizzati per le firme sospese, consentendo così a molti di non dover versare l’obolo di 1 euro e 50 centesimi grazie alla generosità di altri”.