A un anno di distanza da quando lo abbiamo intervistato al MAUTO ci ritroviamo nello stesso luogo per vivere l’inaugurazione della mostra a lui dedicata “Giugiaro e il suo percorso”. La mostra – aperta al pubblico dal 25 novembre al 26 febbraio 2017 – ripercorre la vita di Giorgetto, attraverso la sua formazione artistica, personale e lavorativa. È imperdibile: ci racconta la caratura dell’uomo Giugiaro attraversando il percorso della pittura, perla della famiglia Giugiaro, dei progetti cartacei, arrivando a toccare con mano alcuni prototipi significativi. Le opere esposte convergono nel dimostrare il costante impegno nel tempo di Giugiaro ad essere progettista impeccabile, rapidissimo ad intendere il mondo e fine stratega-difensore della sua idea creativa.
La mostra è molto intima: ci racconta di Giorgetto che non si abbandona alla sua passione pittorica ma che decide di proteggerla dalle contingenze prestando la sua mano artistica al disegno tecnico: mentre si teme che così possa “rovinarsi” il tratto, viene notato da Dante Giacosa e instradato nel mondo dell’automobile. Dimostra subito di saper fiutare bene le situazioni, capacità intuitiva che lo aiuterà sempre nella vita, e per una coincidenza Bertone lo ruba quasi letteralmente alla Fiat per affidargli il progetto dell’Alfa Romeo 2600, vista, scelta e messa immediatamente in produzione dagli uomini di Arese. Bertone è fondamentale per Giugiaro quanto Giugiaro lo è per Bertone: non solo infila una serie di Alfa che scivolano subito nel mito come la GT Junior, ma di fatto crea una serie infinita di spunti per il carrozziere, da cui nasceranno altri miti: uno per tutti la Miura.
L’opera di Gandini, autentica e magnifica, passa per il percorso di Giugiaro: una forza progettuale prorompente inizia a canalizzarsi nella Testudo, si affina nella Bizzarrini, per poi duellare nella tauromachia contro Gandini che la doma, plasmando così la Miura.
Fermiamoci dunque un momento su questo pezzo.
Premessa necessaria: nel car design ci sono evidenti casi di plagio, che non ci interessano per niente. Come sempre ci piace perdere il filo del discorso ed immergersi nei percorsi tortuosi e irrazionali che un idea ha attraversato nella sua evoluzione.
Ecco dunque il confronto dello lo specchio di coda delle due auto che da solo ci racconta la coerenza evolutiva della Bertone dell’epoca, attraverso due matite eccellenti.
Prodromi di Miura sono visibili nella bella Testudo di Giugiaro dove compaiono delle alette a lato dei finestrini. Gandini le trasformerà nelle bellissime prese d’aria sulle portiere della Miura. Per fare questo elimina il montante del finestrino della Testudo per tornare a muovere la linea dei finestrini della Miura con questa griglia.
E qualcosa succede anche nei fari, dove per posizione e aspetto appare chiaro l’embrionale primo passo verso gli splendidi fari alettati Miura. Non vi è nessun punto di contatto con i ciglioni Miura, ma entrambi, Giugiaro e Gandini, sentirono che non bastava solo mettere lì dei fari, come sulla Porsche 928, ma andavano rifiniti in modo ulteriore.
Proseguiamo il giro nel magnetico parco prototipi e cerchiamo di essere cattivelli e controcorrente, perchè è opportuno: se i primi prototipi raccontano gli anni d’oro della carrozzeria italiana secondo Giugiaro, i più recenti sottolineano che nella sfida alla modernità Giugiaro ha sempre saputo vincere il duello, con un epilogo incredibile che poi vedremo.
Angolo delle Cattiverie
Potremmo dire simpaticamente e con tono leggero che tre prototipi presenti pestano la coda al gatto: sono Ferrari GG 50, Alfa Romeo Brera e Bugatti EB 112. Se si citano questi tre marchi ci si deve fare subito seri, perché tutti sono accomunati dal fatto che non possono sbagliare. Ma qualcuno lo ha fatto e non Giorgetto.
Bugatti EB 112, prima Bugatti a quattro porte. Il prototipo ha più di vent’anni e non ha mai visto la luce. Qui lo porremo a confronto con l’altro recente prototipo preserie Bugatti Galibier.
Alfa Romeo Brera
Questo caso è incredibile perché tra questo prototipo e la sfortunata produzione di serie vi è un alchimia velenosa che le slega: si chiamano Brera, sembrano assomigliarsi anche da vicino ma sono due auto che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Vediamole:
Ferrari GG 50
Quest’auto non muove critiche ma un bel dibattito: Giorgetto si è fatto questo regalo per i suoi cinquant’anni di attività nel 2005, disegnandosi una Ferrari. “GG50” & “F12”: Dieci anni circa separano questi due progetti, autonomi e diversi. Ma è lecito pensare che il lay-out della “GG50” abbia dato nuovo coraggio alla Ferrari per riappropriarsi ed esplorare ulteriormente il mondo delle granturismo. Ma la firma sulla Ferrari è Pininfarina, che succede?! Giochi di artisti, e misteriosi…colpi da maestro, li approfondiremo prima o poi. Certo il vetro della portiera che piega prima del montante e flette allungando la coda della GG50 è estremamente intrigante. Pininfarina tira dritto il parafango anteriore invece e lo porta fino alla ruota dietro, una scelta molto più da sportiva che da GT e qui le strade tra le due si separano con un solco profondo.
Ecco i fanali Ferrari “GG50” divenire verticali “a cascata”: un disegno che parte dalla segreta F90, passando per la Enzo, che con la “GG50” si sdogana e contraddistingue tutta la produzione attuale.
Molto bello il prosieguo estetico dei fanali nelle bocchette laterali inferiori con incorporati i fendinebbia: invece che sempre più ridicole caverne in grado di mangiare un gatto in corsa in questo caso le bocchette completano il musetto in modo molto equilibrato e affilato. Chissà se in futuro, come per Maserati, vedremo un progetto di Giugiaro calcare ufficialmente l’asfalto di Maranello.
Dopo la “GG50” salutiamo di cuore una diversamente-supercar, qui presentata nel suo primo modello di gesso. La reputiamo super per tutte le funzioni che questo modello ha saputo assolvere e per le mille storie che i loro proprietari vi potranno raccontare: ecco la Panda 30, la penultima utilitaria “d’élite”, di un percorso mitologico che va dal Maggiolino alla 2CV, dalla R4 alla Panda appunto, per terminare forse per sempre con la prima Twingo.
Finito di godersi la mostra, ribadiamo stupenda, riusciamo a rubare preziosi minuti a Giorgetto, che ci accoglie con estrema gentilezza e passione per raccontare il suo lavoro: un momento divertente in quanto nella precisione e serietà delle visioni che il maestro ci illustra ad un tratto termina un discorso dicendo che ha disegnato anche un armadietto come la Panda oltre a belle auto. Partiamo in contropiede di cuore e lo correggiamo, affermando che ha saputo render bello perfino un armadietto semmai, e che la Panda è bella proprio perchè l’ha fatta lui. Casi coevi per capirci meglio: la Citroen Visa (dall’armadietto…al cassonetto). Altre vere utilitarie non ce ne erano già più, la Polo diventava pretenziosa, come la Fiesta e tutte le altre. Crude come la Panda c’era forse appunto solo la prima Visa 635 con i paraurti in plastica ed il cruscotto (magnifico) degno dell’astronave dei Minions. Tutte le botteghe d’Italia lavorarono con la Panda, come gli elettricisti, muratori, maestri pendolari, di tutto e di più. L’auto dei semplici che facevano bella figura. Se poi volete sbeffeggiare nei modi più sadici SUV e 4×4 on demand (cioè quando è tardi) la 4×4 è l’arma giusta e invincibile.
Trame occulte
La mostra si conclude con la DeLorean, felice icona di “Ritorno al Futuro”, protagonista di vicende strategico-commerciali confusissime e tremende che andarono a nuocere malamente perfino a Colin Chapman. Vogliamo peggiorare quest’angolo noir con il fermo-immagine dell’Alfasud negli specchi della DeLorean: la piccola Alfa è tuttora nominata sottovoce per la gestione scandalosa del magnifico progetto di design ed ingegneria che fu. Ma l’obiettivo era chiaro: “affondate l’Alfa”. Troverà il giusto riscatto? Speriamo.
Con sorpresa infatti, sulla pedana tra i prototipi gira una Golf GTI al posto della piccola Alfa. Peccato anche se comprensibilissimo: la prima fu un debito la seconda un successo mondiale mai visto prima, che ha generato il prodotto marketing (e non solo) più solido della storia dell’auto. Nello studiolo Giorgetto ci racconta l’Alfasud che – imbeccato – ci dichiara essere a lui più cara della Golf, e ci spiega perchè: Rudolf Hruska, l’ingegnere boemo che condusse il progetto Alfasud era incredibile. Oltre alle celebri cerniere del bagagliaio attaccate esterene per poter far entrare le fatidiche quattro valigie da mm 210 X 450 X 700 che nella Mercedes non entravano, il maestro ci Racconta che la piccola Alfa era stata pesata al centimetro da Hruska e non si poteva sgarrare: Mantovani pone un radiatore secondario anteriore 10 mm più in avanti del dovuto: tutto da rifare.
Lo sbalzo anteriore deve essere di 600 mm e non 610: cambia il comportamento dinamico a causa dei pesi. Stessa sorte per la (bellissima) portiera posteriore: non andava bene, bisognava abbassare di 20 mm la cornice del vetro perchè…il vetro pesa! Quando anni dopo Rudolf vide la Golf presentata per la prima volta guardò il suo pupillo con occhio severo. Fu tutto in silenzio ma si capirono, qui quella magia e quella performance progettuale mancavano. Il bagagliaio era piccolo, l’ingresso in auto peggiore, era tutto più “di mercato” e non da ingegnere nel senso più nobile. Se ne andò e comprò comunque una Golf. La discussione ci ha rapiti: Giorgetto sostiene che la dimensione del bagagliaio non è poi così fondamentale per definire la validità commerciale del prodotto. Così come la precisione maniacale di Hruska sul mercato non vale forse la candela. Ma se chiudi gli occhi sulla storia e li apri sulla strada, l’Alfa alla guida ti sussurra cose meravigliose come poche auto sanno trasmettere. Forse Hruska ha avuto ragione… limitatevi a sedervi in cinque sull’Alfa e poi sulla nuova Giulia. Sappiateci dire.
Le Corbusier: Voiture Maximum
Giugiaro nel 1987 promuove la costruzione del modello in legno 1:1 dell’auto di LeCorbusier. Un’auto disegnata in proporzione aurea e, nella sua curiosità, salta all’occhio l’ottima proporzione della vista frontale né troppo stretta, né troppo larga. Una sintesi tra la misura della 127 e quella dell’Audi A3 per rendere l’idea. Pensiamo Hruska avrebbe potuto dire qualcosa in merito agli sbalzi e che noi avremmo condiviso. Dov’è il baule per le quattro borse che non esistono?
Mentre le ultime Brera hanno fatto la strada, nuove, dal concessionario all’autodemolizione, al Mauto hanno saputo allestire e “far funzionare” molto bene la sala principale d’ingresso del museo esponendo un rottame carbonizzato: chapeau! Questa Tapiro riesce ad esprimere i suoi contenuti anche in queste condizioni, divenendo quasi una scultura.
Ma come si disegna un’auto?
Giugiaro è chiaro e quasi tonante: l’auto si disegna sempre e solo tracciandone prima la matematica a mano. Poi, definita questa, la si inserisce nel computer e si conclude il lato pratico del disegno. Chi parte dai bozzetti è fuori strada, non si rende conto delle misure e della concretezza del progetto. Questa è la vera lezione della giornata. Parlando insieme condividiamo il ribrezzo per la sterile epoca del rendering, momento in cui molti sono attratti dalle stupefacenti qualità realistiche dell’immagine, senza valutarne minimamente i contenuti. Si è tornati al medioevo quando popolazioni hanno venduto i propri fratelli per brillantissime perle di vetro colorato. La testa, la persona e la matita siano invece prima di tutto. La fascinazione per l’attrezzo e non per il prodotto è un controsenso, un errore grossolano. Detto da chi usa una maschera per mostrare attraverso la realtà virtuale i suoi progetti non è assolutamente da fraintendere come un monito dato da… gente datata.
La scoperta più bella
La storia di Giugiaro è soprattutto storia dei Giugiaro. Un’unione familiare magica, il padre di Giorgetto che lo guida verso il design industriale con convinzione e gli apre la carriera che sappiamo, Fabrizio che lavora con il padre Giorgetto in una simbiosi tale che i due ricordano Tex Willer ed il figlio Kit. Fabrizio a 9 anni segue il padre sugli sci in luoghi impervi. Si stacca una valanga e Giorgetto è sepolto integralmente. Con le mani bloccate dai lacci delle racchette non può muoversi e pensa al figlioletto anch’esso certamente travolto dalla valanga. Angosciosa impotenza e morte certa di entrambi. Invece qualcuno sta setacciando la valanga in base a non si sa che teoria: è Fabrizio a gattoni che con i bastoncini cerca il padre…e lo trova. Sono salvi entrambi, incredibile. Anni dopo una valanga sta per travolgere l’habitat di Italdesign: questa volta un abile slalom dei due salvano l’azienda e i suoi mille dipendenti, con una decisionalità immediata. La stessa che alla fine dell’era Piech li fa compiere un nuovo repentino gesto di intuito: si torna da soli. Un’attimo dopo tuona il diesel-gate, Tex e Kit sono salvi di nuovo come succede solo nei fumetti o… in casa Giugiaro. Qualcuno li vorebbe a dirigere una scuola di design, o altre cariche “onorarie”. Niente da fare, i due fondano GFG e cinque auto sono già in cantiere alla volta dell’oriente. Partiranno da Torino, rivitalizzando di colpo la sopita capitale mondiale dei carrozzieri. Chissà se come diceva Dr Frankenstein nel celebre spassosissimo film anche i Giugiaro avranno pensato “si – può – fare!!!” I creativi sono dunque tornati in patria e stanno sviluppando con forza qualcosa di veramente nuovo, con la loro solita verve.
Alessandro Sammartini