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Giovanni, commercialista e il suo Capodanno difficile nel reparto Covid dello Spallanzani

Gen 1, 2021

ServizioServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùquando il coronavirus arriva da una rsa

Ricoverato dal 24 novembre, è uscito dopo parecchi giorni dalla terapia intensiva. La solitudine legato alle macchine e il brindisi liberatorio al nuovo anno

di Nicoletta Cottone

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1 gennaio 2021


3′ di lettura

«Ti auguro un felice anno nuovo. Basterebbe anche uno usato, ma di quelli in cui si stava meglio». Giovanni Di Leo, commercialista, 63 anni, ricoverato allo Spallanzani di Roma dal 23 novembre, saluta così il nuovo anno, con una vignetta di Snoopy e un video dove, con un calice in mano, brinda al nuovo anno con il suo compagno di stanza. Anche i pazienti Covid meno gravi ricoverati in ospedale, hanno potuto brindare all’anno nuovo. Con la speranza che il loro duro confronto con il nuovo coronavirus finisca presto e possano tornare rapidamente in famiglia.

Chiusi in una stanza con doppie porte di ingresso

Dalla stanza con vetrata e doppie porte hanno salutato il personale di turno alzando il calice e sperando in un 2021 migliore. «Ci vuole poco», racconta Giovanni Di Leo, che ora si trova in un reparto di degenza ordinaria per acuti, ma ha dovuto affrontare la terapia intensiva. «Sono sempre stato fatalista – racconta al telefono – e cerco comunque di guardare la vita con serenità e ottimismo».

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Il Covid arriva dalla Rsa

Nella vita della famiglia Di Leo il Covid è arrivato da una Rsa, dove era ricoverata la mamma Leila. «Dopo la difficile prima ondata di Covid, durante la quale non ci avevano mai fatto entrare per proteggere i degenti, la mamma si sentiva abbandonata. Quando abbiamo visto che con la seconda ondata si richiudeva tutto – dice Giovanni Di Leo – abbiamo fatto un lungo consulto di famiglia e ci siamo organizzati per riportarla a casa».

Rientro in famiglia in quarantena senza tampone

La mamma torna a casa il 4 novembre, senza tampone. Dalla Rsa suggeriscono solo una quarantena. Dopo varie avventure con badanti che prima si dicono disponibili e poi recedono, si arriva al 4 novembre: «Sono due settimane che, per sfortuna, destino, fato, stravolgono la mia vita», racconta Giovanni. «Riesco a portare a casa mia madre con tutti i dubbi legati alla sua condizione e allo stravolgimento della vita familiare. L’avevo vista solo quattro volte da gennaio e, per quanto non pienamente lucida, si sentiva abbandonata da noi. Era molto difficile far capire a una persona di 86 anni in quelle condizioni cosa fosse successo fuori e perché non potevamo vederci più frequentemente».

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La famiglia positiva in pochi giorni

La signora non ha sintomi, ma nella Rsa il giorno della dimissione si contano quattro casi Covid. Dopo qualche giorno compare la tosse e la positività per la signora Leila. A casa Di Leo fanno tutti il tampone, ma è troppo presto per conoscere la verità: il responso è tutti negativi. Intanto nella Rsa si contano rapidamente 35 positivi su 80. E con la signora Leila anche Giovanni, la moglie e due dei tre figli sono positivi. Come la badante e il fratello di Giovanni, che era andato a salutare la mamma che non aveva potuto vedere nella Rsa.

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