AGI – “Non ero sul posto, non conosco la dinamica dell’incidente di Matilde (Lorenzi, ndr) , ma mi sento di dire basta ai tracciati così ravvicinati l’uno con l’altro, si rischia di finire nel percorso vicino come è accaduto anche a me. I ghiacciai sono sempre meno, si stanno restringendo, lo sappiamo ma c’è un’esasperazione negli allenamenti e c’è un sovraffollamento”. Così all’AGI, Kristian Ghedina, il campione di discesa libera degli anni ’90 e 2000, argento e bronzo iridato rispettivamente nel 1996 e 1997, e vincitore di 13 gare in Coppa del mondo in merito ai tanti tracciati che vengono disegnati sulle piste in occasione degli allenamenti.
“Da quello che mi hanno riferito, Matilde si stava allenando sul primo tracciato – dice Ghedina – con i tracciati così ravvicinati rischi di entrare nell’altro e, magari, anche scontrarti con un altro atleta. è accaduto anche a me, a Pitztal, quando a un certo punto mi sono ritrovato a sciare tra le porte che erano state tracciate, un po’ più semplici, per la squadra della Bulgaria. Da quel momento poi i miei compagni mi chiamarono ‘Ghedinov'”.
Rispondendo alla domanda sul casco integrale, il 54enne campione ampezzano, quattro volte vincitore della discesa libera della Val Gardena e trionfatore anche sulla ‘Streif’ di Kitzbuehel, risponde, “si è sempre detto che per noi sciatori limita il movimento e, essendomi un’appendice come la mentoniera, se ti attacchi a qualcosa potrebbe fare leva e creare lesioni alla testa”.
Ghedina all’AGI ha aggiunto che “sulla sicurezza si è fatto tanto, se togli la velocità alla discesa libera e la fai diventare un supergigante o addirittura uno slalom gigante, togli il fascino alla disciplina”. E ha concluso: “Su dieci incidenti, in Formula 1 ti fai male una-due volte, nella MotoGp tre-quattro mentre nello sci su dieci cadute, otto-nove ti fai male”.
Il ricordo di Gernot Reinstadler
“Alcuni testimoni mi hanno riferito che a Matilde è stato subito praticato il massaggio cardiaco perchè aveva perso i sensi, è stata intubata e poi subito portata in ospedale con l’elicottero. Soccorsi molto veloci, non come assistetti io nel 1991 quando morì Gernot Reinstadler a Wengen”. “Era il 4 aprile del 1985, stava facendo fuoripista in un canalino ripido sul monte Cristallo, la neve era quella di fine stagione, dura sotto e granulosa sopra, mia mamma incrocio’ le punta degli sci e precipito’ per 600 metri, la ritrovarono ancora cosciente ma morì il giorno dopo in ospedale a Pieve di Cadore – ricorda il forte sciatore ampezzano -. Ora quel tratto tra le rocce è chiamato ‘Canalino Adrianà. Lei era molto fiera, è stata la prima maestra della Scuola di Sci di Cortina d’Ampezzo, mi ha trasmesso la voglia di velocità, forse per questo mi affascinava rischio e pericolo”.
In merito all’incidente di Matilde – i testimoni parlano di perdita di assetto, divaricamento degli sci, urto violento del viso/testa sulla neve ghiacciata, perdita dello sci e uscita di pista -, Ghedina spiega, “non ero presente e non ho visto la caduta ma posso dire che con l’avvento del nuovo materiale molto performante non necessiti più di fare piegamenti e estensione, lo sci fa tutto da solo con un minimo movimento dello sciatore, ma se carichi in maniera sbagliata o non distribuisci i carichi in maniera corretta, una svirgolata, prendi una spigolata, divarichi le punte degli sci e poi c’è il rischio di finire con il viso”. Il grande campione del passato, che non amava la pista ‘Stelvio’ di Bormio “perchè spesso in ombra”, è stato testimone oculare della morte di Gernot Reinstadler il 17 gennaio del 1991 a Wengen.
“Dopo la mia discesa, ero nel parterre d’arrivo ad aspettare un compagno di squadra assieme al quale sarei tornato assieme in albergo, stavo bevendo un tè davanti ad un piccolo schermo quando, ad un certo punto ho visto la caduta dello sciatore austrico – ricorda all’AGI l’ampezzano soprannominato il ‘Jet d’Ampezzo’ -. Quando ho visto la striscia di sangue sulla neve, sono entrato in pista: davanti a me una scena terribile che non dimentichero’ mai perchè avevo subito capito che non sarebbe sopravvissuto. I soccorsi all’epoca non erano stati proprio così rapidi. Alle 5 del mattino è arrivato il nostro allenatore della nazionale Theo Nadig e ci ha comunicato la morte di Reinstadler e la cancellazione della gara. Sulla sicurezza tanto è stato fatto, una volta spesso trovavamo condizioni difficili”.