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Fred Hoyle e l’argomento “747”, ecco perché la teoria opposta a quella di Darwin non è corretta

Giu 6, 2023

Coloro che non capiscono il processo darwiniano ricorrono spesso ad argomenti di così detto “senso comune” per cercare di convincere il pubblico contemporaneamente della sua implausibilità e dell’esistenza di un processo teleologico, quando non di un disegnatore, all’origine della vita complessa che vediamo oggi. Spesso, inoltre, alcuni di questi argomenti incorrono in una particolare fortuna dialettica, e continuano a inquinare la discussione sul tema senza che la dimostrazione della loro invalidità ne abbatta definitivamente la circolazione: finchè, infatti, c’è un nuovo pubblico che non ha seguito le discussioni precedenti e finchè c’è qualcuno che non ha compreso le smentite, essi, grazie alla loro intrinseca capacità di fare appello a bias cognitivi molto diffusi, continuano ad essere riutilizzati, senza che si riesca ad espungerli dal dibattito.

Un perfetto esempio di questo tipo di argomenti è il cosiddetto argomento “747” frequentissimamente riproposto da creazionisti e fautori del disegno intelligente, inventato originariamente da Fred Hoyle, un importante astronomo britannico che paradossalmente ha scoperto molti dei meccanismi di formazione degli atomi nelle stelle che hanno dato origine alla materia di cui abbiamo esperienza, ma che, come purtroppo accade ad eminenti scienziati nella loro età più tarda, si è formato convinzioni pseudoscientifiche alla fine della sua carriera professionale, e ha fatto leva sulla sua fama per propagandarle. Questo argomento, ancora una volta, è tornato dal passato in un dibattito con il sottoscritto, sia in forma esplicita che leggermente modificato.

L’argomento originale è il seguente: “La possibilità che forme di vita superiore possano essere emerse in questo modo è paragonabile alla possibilità che un tornado che attraversa un deposito di rottami possa assemblare un Boeing 747 dai materiali in esso contenuti. […] Il guaio è che anche un semplice protozoo, o un batterio, richiede la precedente formazione di circa 2.000 enzimi, anch’essi proteine complesse, che sono fondamentali per il successo della formazione di tutte le altre 198.000 proteine necessarie. Le probabilità a favore della formazione accidentale di tutti e 2.000 per caso (per non parlare degli altri 198.000), senza i quali nessun organismo vivente sarebbe potuto venire all’esistenza, si avvicina a una grandezza veramente infinitesimale.”

 

Oltre all’argomento principale, mi è stato presentato il seguente analogo: il DNA di un uomo è formato da circa 3 miliardi di basi ordinate in una sequenza specifica, unica in grado di farci funzionare. Partendo da una miscela dei quattro tipi di basi che si ritrova nel nostro DNA, è impossibile che un processo casuale abbia portato alla sua formazione, nemmeno impiegando tutto il tempo trascorso dalla nascita dell’universo, perché la probabilità di sua composizione per eventi stocastici è infinitamente piccola. Per questo, concludono i miei interlocutori, Darwin aveva banalmente torto e, per i più estremisti fra loro, è necessario un disegno intelligente. In tutte le sue forme, tuttavia, l’argomento “747” è irrimediabilmente sbagliato, e dimostra solo la mancata comprensione di come funziona il processo di variazione e selezione proposto da Darwin. Per capirlo in maniera piacevole e approfondita, basterebbe leggere “Il caso e la necessità” di Jacques Monod; qui mi proverò a fare delle considerazioni concise e molto semplificate, rimandando il lettore a quel testo fondamentale per una trattazione molto migliore della mia.

Innanzitutto, consideriamo l’argomento originale di Hoyle: esso è volto a dimostrare come sia impossibile assemblare a caso delle componenti ed ottenere una macchina complessa funzionante. Il punto è che le cose non sono andate affatto così: gli organismi biologici non sono nati per assemblaggio casuale di parti, e la teoria dell’evoluzione naturale non lo sostiene affatto. Invece, l’assemblaggio è avvenuto dal basso, da componenti semplicissimi, e ad ogni passo la selezione naturale ha favorito certi risultati rispetto ad altri, tagliando via un gran numero di “probabilità da esplorare” per ottenere qualcosa come un DNA funzionante di 3 miliardi di basi. Cercherò di farmi capire con un esempio molto semplificato, per illustrare in nuce il funzionamento dell’argomento di Darwin.

Immaginiamo di osservare un piccolo genoma composto da cento basi di DNA, e di argomentare che le probabilità di ottenerlo combinando a caso i quattro tipi di base disponibili, sia troppo bassa – nei fatti è 1 su 4 elevato a 100, il numero di possibili combinazioni, ovvero meno di 1 su 10 seguito da 59 zeri. Possiamo però pensare ad un processo che funzioni in modo diverso: immaginiamo di ottenere la sequenza di 100 basi aggiungendo incrementalmente una base alla volta. Ad ogni aggiunta di una base, immaginiamo che vi sia una selezione, che elimina tutte le tre varianti generate, eccetto una, l’unica in grado di passare il vaglio. Nel primo passo, avremo 4 genomi di una sola base; la selezione li ridurrà ad uno, e quindi avremo nel passaggio successivo, aggiungendo a quell’unica base una nuova a caso, quattro genomi di due basi. Questi, a loro volta, saranno ridotti ad uno dalla selezione naturale, per ottenere nuovamente quattro genomi di tre basi, e così via, fino alla sequenza di 100 basi. In tutto, come è facile vedere, avrò esplorato 400 diversi genomi, invece che la cifra astronomica di tutti quelli possibili; selezionando ad ogni passo ciò che funziona meglio, ho abbattuto l’universo di possibili sequenze da generare, percorrendo una strada evolutiva precisa fino al genoma di 100 basi. Vi sarebbe poi da aggiungere ulteriormente che molte, moltissime varianti molecolari (che si tratti di DNA, proteine o altre componenti) sono equivalenti dal punto di vista del funzionamento di un organismo, così diminuendo per ridondanza (e di molto) lo spazio che la selezione naturale esplora per ottenere un certo tipo di organismi.

Una volta che il processo evolutivo genera componenti pienamente funzionanti, inoltre, queste possono essere usate in combinazione, senza dover daccapo generare una stringa di DNA per ottenerle, una base per volta. I geni di proteine funzionanti, per esempio, possono essere usati per produrre nuovi genomi e nuovi insiemi di proteine, senza partire di nuovo dal basso variando la sequenza di DNA una base alla volta, in una sorta di mosaico; così possono emergere nuove funzioni dal lavoro congiunto di componenti che precedentemente avevano funzioni loro specifiche. Anche interi genomi possono essere uniti fra loro e interi organismi possono essere inglobati in altri: non abbiamo prodotto i nostri mitocondri da zero, ma abbiamo inglobato antichi batteri e i loro genomi, senza ripartire generandoli una base per volta. Il processo di combinazione di parti già funzionanti in un organismo consente di acquisire funzioni, senza doverle ritrovare da zero costruendo geni una base alla volta, abbreviando il tempo necessario per produrre organismi complessi; e più la complessità procede, più questo bricolage ha a disposizione pezzi per produrre ulteriore complessità crescente. Ad ogni passaggio di innovazione, ciò che funziona peggio cede il passo per competizione a ciò che funziona meglio, sotto il vaglio delle condizioni ambientali: questo è il modo in cui la selezione naturale, ovvero la necessità di Monod, si oppone al caso, cioè all’esplosione delle varianti naturali da considerare per ottenere un organismo funzionante. Non c’è nessun tornado generativo, ma, al contrario, uno sviluppo guidato da vincoli esterni precisi, sviluppo che procede a caso solo perché le varianti che si generano davvero ad ogni passaggio sono un sottoinsieme random di quelle possibili e perché il verso della selezione non è costante, ma a sua volta cambia stocasticamente. Quindi, in un certo senso, l’argomento “747” è giusto: se le cose fossero andate come i creazionisti credono che il darwinismo affermi, cioè mescolando a caso componenti semplici, la vita non sarebbe mai sorta. Ma le cose non sono andate così, e il darwinismo non sarebbe ciò che è, se assomigliasse anche solo lontanamente alla caricatura dell’argomento “747”. Di come, poi, si sia arrivati alle prime componenti funzionanti, cioè di come siano emersi i primi replicatori biologici, i “pezzi funzionanti” in grado di innescare il processo darwiniano appena illustrato, parleremo un’altra volta; basti qui aver mostrato che il processo per arrivare a noi da quelli è perfettamente spiegabile con le leggi della fisica e della chimica e con l’euristica di Darwin.

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