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Fiori, pianti, biglietti: ora il guardrail di Gaia e Camilla diventa un altare

Dic 29, 2019

ROMA – I lumini, i rosari, i biglietti, le foto, i fiori, i giocattoli. Nella notte gelida il guardrail sembra un altare. Strano altare di strada e di sogni spezzati. Gli adolescenti del sabato notte incappucciati in felpe troppo leggere approdano qui, “ciao fra”, “ciao sister”, vanno, si fermano, tornano, una birra in mano, una sigaretta, sciamano nelle strade delle loro serate dove ogni passo parla di Gaia e Camilla. Avanti e indietro, vai e torna, nella geografia nota di Ponte Milvio, piazza svenduta al divertimento “giovane” di Roma Nord. “Che fai?”. “Penso a loro”.

Tutto è uguale eppure tutto è diverso nel primo sabato sera del “dopo”, accanto ai locali oggi c’è il luogo della strage, l’asfalto bagnato di sangue, i sedici anni di Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli che non ci sono più, i vent’anni di Pietro Genovese, che piange chiuso in una stanza, da giorni, dopo averle travolte con il suo Suv sette giorni fa. Una ragazza bionda, Paola, compagna del liceo De Sanctis ha portato la chitarra, i fasci dei fari bruciano i limiti su Corso Francia come se nulla fosse accaduto. “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po'”. “Perché Lucio Dalla?”. “Perché dà allegria”.

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Bisogna camminare con loro, con Ludovica, Ettore, Ilaria, Benedetta, Martina, avanti e indietro, dall’altare del guardrail al “baretto di Luciano”, dalle nove di sera all’una di notte, macinando passi per capire la loro strana preghiera, il loro canto, il loro omaggio alle amiche scomparse. Ogni passo è un ricordo. Una stazione. Giada: “Ecco qui ci fermavamo, qui ci siamo fatte un selfie, qui eravamo felici, qui abbiamo parlato dei nostri amori”. “Non le conoscevo ma sono andata a salutarle”, racconta Ludovica, mentre beve una birra nel punto più affollato della movida, un bar senza nome, ma tutti sanno che si chiama Luciano, nome del titolare scomparso un anno fa, istituzione di Ponte Milvio, quando era ancora un quartiere popolare. Però. “Non dovevano attraversare lì, mannaggia, perché l’hanno fatto, che cazzata, poveracce”. E Pietro? “Pagherà, è giusto, ma come faceva ad evitarle?”. Antonio: “È stata tutta una fatalità, loro fuori dalle strisce, lui che correva, oggi sono andato due volte al guardrail, qui in piazza ci conosciamo tutti, erano due brave ragazze, nulla sarà più come prima”. Marina: “Non credo sia giusto mandare in carcere il ragazzo del Suv. Perché, perché Gaia e Camilla hanno sfidato la sorte?”.

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Gli adolescenti sono apocalittici e assoluti, per questo, forse, nella notti gelide di queste vacanze senza allegria continuano a tornare su quel pezzo d’asfalto. Fermi là, a chiedersi perché, obbligati a farsi domande da grandi, la morte, la vita, l’esistenza, l’azzardo. Pellegrinaggio profano, irrituale, ma vero, autentico.

Verso mezzanotte la piazza che si affaccia sul Tevere è piena, densa di umidità, il ponte dei lucchetti dei libri di Federico Moccia è invece deserto, gli argini bassi, la corrente forte. Qui da vent’anni il venerdì e il sabato “calano” a bordo di mini-car ragazzini non più soltanto di quel quadrante “antropologico che è Roma Nord, (un tempo ricca, un tempo di Destra, oggi mista, come tutto), ma anche frotte di teenager di altri quartieri. Edoardo, 16 anni: “Succede dopo le due. Arrivano quelli della periferia, ti puntano il coltello e si fanno dare l’iPhone o la catenina”. Chissà se sono davvero quelli della periferia. Maria Teresa: “Ho l’obbligo di tornare all’una, a notte fonda ci sono risse e liti tra ubriachi”. Le scie livide della movida in una città abbandonata al degrado. Ludovica, Ettore, Ilaria vanno e vengono con il bicchiere in mano, vasche su vasche, in una passeggiata infinita. “Birra, cocktail, non c’è problema, nessun locale chiede i documenti ai minorenni”. Un fiume di adolescenti, un fiume di alcol. Ovunque è così nelle piazze romane, da Trastevere a Monti, da Campo dei Fiori a Ponte Milvio.

Il guardrail davanti al quale sono stati sbalzati i corpi di Gaia e Camilla è un totem, un luogo votivo, lapide di un periodo della vita che non tornerà più. Come l’ultimo messaggio di Camilla alla mamma: “Ciao, sto tornando a casa”. Azzurra e Carmine si tengono abbracciati davanti al cumulo di fiori che appassiscono. Hanno acceso un lumino. Il vento scompiglia i ricordi, non c’è riparo. “Il 22 dicembre è andato via un pezzo di noi. A scuola abbiamo studiato una poesia: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera insonne…”. L’abbiamo scritta su un foglio per Gaia e Camilla, speriamo che il vento non se la porti via”. Cesare Pavese, 1950. “La verità è che ci serve un posto dove piangere”, dice Paola, la ragazza con la chitarra, fazzolettone scout al collo. Nella notte gli ultimi accordi sono quelli di “A te” di Jovanotti. “Era la loro canzone”.

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