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Finale choc per l’ex Ilva, Arcelor se ne va: “Impossibile lavorare senza immunità” – La Stampa

Nov 5, 2019

ROMA. La «bomba» scoppia poco dopo l’ora di pranzo, quando ArcelorMittal rende noto di aver comunicato ai commissari straordinari l’intenzione di risolvere il contratto con cui un anno fa ha rilevato l’ex Ilva. La notizia era nell’aria da tempo, almeno da giugno quando col Decreto crescita il precedente governo giallo-verde ha cancellato per la prima volta lo scudo che tutela i manager del gruppo dai reati penali legati al piano di risanamento ambientale. Nonostante ciò il governo, che fino a ieri ha minimizzato il problema, è stato colto di sorpresa ed ora si trova ad dover affrontare l’ennesimo fronte di crisi. La partita è davvero grossa: tra Taranto, Genova e Novi Ligure sono infatti in gioco i destini di ben 20mila posti di lavoro tra occupati diretti e indotto. E in ballo ci sono i destini dell’intero comparto siderurgico nazionale.

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Dura la prima risposta arrivata dal governo, che ieri ha tenuto due vertici per affrontare qusta nuova emergenza, uno ad inizio pomeriggio al ministero dello Sviluppo con Patuanelli, Catalfo, Speranza, Provenzano e Costa, ed uno più tardi a palazzo Chigi, dove oltre al premier si è aggiunto anche il ministro dell’Economia Gualtieri. L’esecutivo «non consentirà la chiusura dello stabilimento di Taranto. Garantirà invece la continuità produttiva. Non esiste un diritto di recesso, come strumentalmente scritto da Arcelor Mittal oggi» ha dichiarato a fine giornata il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli annuciando che i vertici di ArcelorMittal sono stati convocati per oggi a palazzo Chigi per un chiarimento urgente. «Il governo è determinato», ha spiegato a sua volta il premier Giuseppe Conte assicurando di voler difendere occupazione, produzione e sicurezza ambientale. Le motivazioni addotte da Arcelor per giustificare lo strappo vengono definite semplicemente «un alibi» («una foglia di fico» dicono i 5 Stelle) che serve solo a nascondere il fatto che l’azienda vuole andarsene perché oggi perde 2,5 milioni di euro al giorno e non ce la fa a mantenere la produzione.

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La disdetta di Arcelor

A sua volta la multinazionale franco-indiana, che a questo punto fa sempre più fatica a fidarsi delle promesse dell’esecutivo, si mostra altrettanto ferma. È infatti convinta che il contratto stipulato un anno fa le consenta di sfilarsi senza problemi da ogni impegno dopo che su pressione dei 5 Stelle (e con l’assenso di Pd e Italia Viva) il Senato ha stralciato dal Salvaimprese l’articolo che cancellava le tutele legali. Questa è la prima ragione dello strappo.

L’altra – ha spiegato una nota del gruppo – è legata ai provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto che potrebbero portare al fermo di tutte i tre gli altoforni di Taranto, e quindi alla paralisi totale del gruppo, ma anche la possibilità di attuare il piano industriale e quindi rispettare il contratto. «Non è possibile gestire lo stabilimento senza le protezioni legali necessarie all’esecuzione del piano ambientale», ha scritto l’amministratrice delegata e presidente di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, in una lettera con la quale comunica a tutti i dipendenti quella che definisce «una notizia difficile», ovvero il passo indietro di Arcelor. «Non è possibile esporre dipendenti e collaboratori a potenziali azioni penali» aggiunge, specificando poi che ora «sarà necessario attuare un piano di ordinata sospensione di tutte le attività produttive a cominciare dall’area a caldo dello stabilimento di Taranto, che è la più esposta ai rischi derivanti dall’assenza di protezioni legali». A seguire toccherà poi a tutti gli altri reparti e aree operative. Quindi entro 30 giorni impianti e dipendenti torneranno ai commissari straordinari.

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La rissa politica

I sindacati temono una «catastrofe industriale» e chiedono al governo di correre subito ai ripari. Grande allarme anche nel mondo delle imprese, da Confindustria a Federmeccanica a Federacciai, che ora temono per l’uscita dell’Italia dal comparto siderurgico. In campo politico siamo invece al tutti contro tutti: Salvini che attacca il governo ed i suoi ex alleati, una parte dei 5 stelle che se la prende con la fronda organizzata in Senato dall’ex ministro del Sud Lezzi, e l’ex ministro Calenda che attacca sia i 5 Stelle che il Pd e i renziani «per i loro giochini sulla pelle dei lavoratori». Che poi son quelli che ora rischiano di più.

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